Scomparsa a Roma Nadia Sala, classe 1928, ausiliaria volontaria a 16 anni

1 Ago 2013 18:30 - di Antonio Pannullo

Ci ha lasciati martedì scorso Nadia Sala, classe 1928, originaria di Como, Ausiliaria superstite del Servizio Ausiliario femminile (Saf), il Corpo volontario, al fianco degli uomini della Repubblica Sociale, costituito da Mussolini il 18 aprile del 1944.

Nadia era la quarta di otto figli, i primi tre dei quali, due fratelli e una sorella, erano già partiti come volontari nelle Forze Armate della Rsi. Nadia decise di partire volontaria all’età di 16 anni. Dopo il corso come marconista a Milano prese servizio al Comando generale del Saf a Como, dove lavorò nell’ufficio matricola dall’ottobre 1944 al 26 aprile 1945. Arrestata alla fine di maggio venne condotta in un centro di raccolta e smistamento dei fascisti catturati, in via Palmieri a Milano; successivamente fu trasferita a Sesto San Giovanni, dove la situazione era ancora estremamente tesa, tanto che una notte ci fu un assalto dei partigiani. «Sembrava – ha ricordato lei – di essere nei giorni peggiori della rivoluzione francese…». La tappa successiva fu il campo di concentramento di Bresso, dove le minorenni vennero separate dalle altre e avviate per la loro “rieducazione morale” a un istituto di suore di Milano, in via Aldini. Su questa “rieducazione morale” Nadia Sala ironizzava spesso. Infine, sino alla scarcerazione avvenuta l’11 ottobre 1945, rimase agli arresti in una caserma di Monza. Tornò in famiglia, a Como, ma non se la sentì di riprendere gli studi come se nulla fosse accaduto, le esperienze della guerra l’avevano cambiata e segnata. Malgrado fosse figlia un preside e di un’insegnante di lettere, non ritornò più sui banchi di scuola e nel 1946 fu assunta come bibliotecaria all’università Bocconi di Milano. Nel 1955 si sposò con Gastone Zamboni, anch’egli ex volontario della Rsi, da cui ebbe quattro figli, e tutti maschi: Ario, Federico, Giano, Furio. Per Zamboni le cose andarono peggio: pagò la sua appartenenza alla Rsi con oltre cinque anni di galera, per reati di “controguerriglia”, che venivano equiparati ai reati comuni. Uscì nel 1954. Ma per Nadia la vita non fu facile: sembrava che la parte peggiore fosse passata, con la guerra, la sconfitta, l’arresto, invece doveva ancora venire. Nel 1970 restò vedova, con quattro bambini da crescere, ma la comunità del Movimento sociale non la lasciò sola, e Almirante la assunse nell’amministrazione del partito, che allora si trovava a Palazzo del Drago, in via Quattro Fontane. Lì l’ausiliaria poté sostenere dignitosamente la sua famiglia, grazie alla solidarietà di chi era stato protagonista delle sue stesse drammatiche vicende. Vi rimase sino al 1988, anno della pensione. Negli anni successivi era molto amareggiata da come la politica italiana stesse evolvendo (o involvendo). Diceva sempre che anche se il mondo circostante cambia, non cambia però chi ha dentro di sé dei valori solidi. Era dell’opinione – racconta il figlio Federico, già apprezzato collaboratore culturale del nostro giornale – che Nadia riteneva la guerra, intesa come scontro tra due modi di intendere l’esistenza, non è ancora finita. Andata in pensione, l’ausiliaria non stette certo in pantofole, come sarebbe stato suo diritto: fondò l’Acsaf, ossia l’Associazione culturale servizio ausiliario femminile, che fu sempre un polo di memoria storica e di aggregazione giovanile sulle vicende sconosciute delle ausiliarie di Mussolini. Le esequie di Nadia Sala si terranno il 2 agosto alle ore 11,45 alla chiesa dei Santi angeli custodi in piazza Sempione a Roma.

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