Le “larghe intese” si sono ristrette. Non restano che le elezioni. A tutti i costi

9 Ago 2013 13:59 - di Gennaro Malgieri

Le ombre della sera s’allungano sulle “larghe intese”. Non è esagerato ritenere che il governo sia virtualmente in crisi. Le rassicurazioni non bastano più. Lo scontro – inevitabile – tra il Pd ed il Pdl sulla sorte di Berlusconi è materia talmente incandescente che nessuno può provare a maneggiare. Si va avanti fino all’esito finale con la certezza del crollo preventivato  per gli inizi di settembre, ma non è detto che non si manifestino accelerazioni tali da indurre Letta a rimettere il mandato.

Uno su tanti: l’indisponibilità di Saccomanni ad abolire l’Imu sulla prima casa. Insopportabile per il Pdl che su questa promessa ha investito tutta la sua credibilità politica ed avendo ottenuto le rassicurazioni del caso ha dato il via libera all’esecutivo. Adesso tornano in alto mare gli impegni assunti in  aprile. E nelle acque sempre più limacciose della politica, intorbidate ulteriormente da correnti giudiziarie ancora più inquinanti, galleggiano i rottami di quella che fu la speranza della pacificazione come presupposto per un governo di scopo e d’emergenza.

Il naufragio è sotto gli occhi di ognuno. Comprendiamo le “colombe” del Pdl, i moderati del Pd, i guardinghi assertori della governabilità in tutti gli schieramenti, ma al punto in cui siamo ci sembra che non si aspetti altro che il momento per staccare la spina. E’ probabile che non ce ne sia bisogno: un cortocircuito toglierebbe tutti dall’imbarazzo. E, naturalmente, getterebbe l’Italia nelle fauci degli speculatori internazionali. Perciò sarebbe il caso che si approvasse in fretta e furia un leggina di modifica del Porcellum, rimandando a tempi migliori una vera e propria normativa coerente e duratura, al fine di permettere agli italiani di votare al più presto. Ciò significa che la campagna elettorale già in corso (inutile prendersi in giro: i partiti stanno oliando le macchine organizzative e stanno costruendo i meccani per tornare al voto) sfocerà nella chiamata alle urne nel mese di novembre o al massimo nella prima decade di dicembre.

Fanno pena le valutazione di coloro che sostengono che la “finestra di ottobre” si è chiusa: qualcuno vieta che si aprano i portoni nei mesi successivi? La situazione è sfuggita di mano a tutti. Quirinale, Palazzo Chigi, Parlamento, forze politiche. Non resta più niente dei fragili assetti maturati la scorsa primavera dopo il travaglio post-elettorale. E’ naturale che si corrano seri rischi con le elezioni anticipate e che Berlusconi le veda con perplessità anche riguardo al mercato azionario che subirebbe contraccolpi che si riverserebbero anche sulle sue aziende. Ma cos’altro resta da fare? Attendere che cosa?

Il pretesto, a prescindere dalla decadenza di Berlusconi e dagli effetti della sentenza di condanna, l’ha offerto Saccomanni, come dicevamo.  A questo punto il Pd sosterrà che non è possibile restare alleati con un partito il cui leader è nelle condizioni che sappiamo; il Pdl denuncerà l’accordo sull’Imu (ma anche sull’Iva) e le elezioni saranno belle che scodellate sulla sempre più magra mensa degli italiani.

Napolitano si oppone? La sola cosa che può fare è convincere i partiti ad approvare la leggina di cui parlavamo: lui stesso non ha più poteri da opporre alla degenerazione del sistema. E’ finita, insomma. Prima se ne prende atto e meglio è.

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