La sortita “anti-Porcellum” di Letta è annuncio di campagna elettorale
Solo le prossime settimane ci diranno se a furia di parlarne a vuoto la legge elettorale non finirà nel trasformarsi nell’albero che l’astuto Bertoldo chiese di poter scegliere come ultimo desiderio prima di finirvi impiccato e che ovviamente non trovò mai. Tutti sanno che senza la riforma del Porcellum Napolitano non scioglierà mai le Camere e nessuno ignora che proprio questo è il motivo per il quale il vigente sistema di voto continuerà a vivere ancora a lungo. In compenso, fioccano i propositi di imminenti ed irrinunciabili modifiche, destinate probabilmente a restare tali. Tuttavia, i passi falsi finora compiuti non devono impedirci di valutare come indizio di una mutata strategia l’annuncio in tal senso lanciato al meeting di Cl da Enrico Letta. Il quale, per renderlo più credibile, ha persino indicato ottobre come mese entro cui portare a compimento la riforma.
Le leggi elettorali rappresentano per i partiti l’equivalente delle armi atomiche per i sistemi militari: occorre estrema cautela nel maneggiarle e sufficiente spregiudicatezza nel minacciarne la modifica. Il premier ha fatto esattamente questo. Un po’ per dimostrare di essere pronto al combattimento e un po’ per far capire di saper scegliere il terreno su cui procurar battaglia nel caso in cui la situazione dovesse avvitarsi fino a precipitare.
Che il governo stia arrivando al capolinea è opinione alquanto diffusa, che dopo la crisi ci siano solo nuove elezioni è assai probabile ma non certo. Quel che invece non è assolutamente scontato è la scintilla da cui divamperà l’incendio. Non stupisce, quindi, che anche l’attenzione del premier oltre a quella dei partiti sia concentrata proprio qui. Letta ed il Pd temono come la peste che Berlusconi possa far cadere il governo sul tema delle tasse e sull’abolizione dell’Imu. Se la maggioranza frana in quel punto, il vantaggio che ne deriverà a Forza Italia sarà difficilmente colmabile. Diverso, invece, sarebbe se il punto di rottura dovesse consumarsi sui tormenti post-giudiziari del Cavaliere, tema di sicuro impatto emotivo tra gli elettori centrodestra ma – a differenza della cancellazione dell’Imu – inidoneo a coagulare interessi ed aspettative oltre il pur largo recinto del popolo berlusconiano.
La sortita del premier sul Porcellum – spiegabile solo in parte con l’esigenza di depurarlo di alcuni profili a rischio incostituzionalità prima del verdetto della Consulta atteso per il prossimo 3 dicembre – serve dunque ad aggiungere altra carne sul fuoco della pre-campagna elettorale in corso. Vero è che la legge elettorale non si mangia ma è altrettanto vero che quella in vigore è talmente impopolare da rappresentare un ottimo atout per chi dovesse intestarsene il cambiamento. Al contrario, per quanto logica, appare decisamente debole la posizione di Forza Italia di far discendere il nuovo sistema di voto da una più complessiva rivisitazione della forma di Stato e di governo. Ormai anche i bambini hanno capito che riforme di quel tipo non arriveranno in questa legislatura.
Ma non è tutto: il Pd è consapevole che il sistema delle liste bloccate è funzionale alla trazione carismatica del centrodestra. Disfarsene – semmai con l’ausilio di una maggioranza ad hoc, unita solo dalla volontà di evitare le urne – significherebbe scavare una voragine sotto i piedi della leadership berlusconiana e gettare le premesse per un Letta-bis. A quel punto, sarebbe interessante censire quanti tra gli attuali plauditores del Cavaliere soccomberanno alla tentazione di diventare i “responsabili” della legislatura in corso. Dovessero essere in numero sufficiente a far nascere un nuovo governo, non ci sarebbe tanto la beffarda rivincita di Scilipoti sul Pd quanto il definitivo tramonto di Forza Italia e del suo leader.