La Corte dei Conti demolisce il sistema carcerario: «Poco personale e scarsa attenzione alla formazione»

9 Ago 2013 19:04 - di Redazione

Rieducare i detenuti, soprattutto attraverso il lavoro e l’istruzione, si può. Ma non si riesce a farlo se le risorse sono “estremamente esigue”, se le carceri sono cosi’ sovraffollate da determinare “la reale impossibilità di ritagliare spazi da riservare al lavoro e allo studio”, se c’è una “spaventosa carenza di personale”, se non c’è una pianificazione di adeguati percorsi formativi e scolastici e se il coordinamento sul territorio di tutti i soggetti interessati “è insufficiente”. A tirare le orecchie allo Stato nel suo complesso ma soprattutto alle istituzioni che si occupano del pianeta carcere è la Corte dei Conti con una corposa delibera. Cento pagine, che rappresentano la sintesi di un’indagine, nelle quali mette sotto esame il sistema, giungendo alla conclusione che la finalità di assistenza e rieducazione che la Costituzione affida alla pena non viene assicurata alla quasi totalità dei detenuti.

Gli ultimi dati esaminati dai giudici contabili si riferiscono al secondo semestre del 2011: sul totale di 66.897 detenuti ristretti nelle nostre carceri, la percentuale dei lavoratori è appena il 20% (in cifre 13.961). Quasi tutti svolgono attività legate alle vita quotidiana del carcere (pulizia, mense, magazzino); un lavoro “mal remunerato e privo di alcuna significativa funzione socializzante, formativa o di gratificazione per il soggetto”, nota la Corte. Di questo 20%, solo il 3% non opera alle dipendenze dell’amministrazione e una minoranza ancora più risicata (1,77%) è rappresentata dai detenuti che vengono assunti dalle cooperative sociali, grazie alle agevolazioni previste dalla legge Smuraglia. Eppure i risultati di questa legge sul piano della riabilitazione sono evidenti: «L’inserimento dei detenuti nelle cooperative sociali – evidenziano i giudici contabili – abbatte il tasso di recidiva dal 70 al 10%; un dato sufficiente per comprendere l’importanza dei fondi che debbano essere destinati al lavoro nelle carceri, e che attualmente sono decisamente ”esigui».

Tra la popolazione carceraria (il cui 40% è rappresentato da analfabeti) sono pochissimi anche gli studenti: il 27% del totale (18.115 su 67.146 nell’anno scolastico 2010-2011). Limitata anche la partecipazione ai corsi di formazione professionale, di cui hanno potuto fruire nello stesso periodo solo 5.942 detenuti. Il problema, spiega la Corte, è “l’inadeguatezza di validi percorsi scolastici e formativi”. Un esempio? I corsi di formazione professionale puntano sull’artigianato (giardinaggio, elettricista, aiuto-cuoco, ceramica, idraulico, falegname, taglio e cucito) e trascurano l’informatica. E il risultato è che si produce una ”bassa maestranza difficilmente impiegabile in un mercato del lavoro fortemente concorrenziale e ad alta tecnologia”.

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