Egitto, aria di restaurazione: i militari anti-Morsi ora scarcerano Mubarak
L’Egitto scivola verso la guerra civile nell’impotenza dell’Europa. Quello che è successo e che sta succedendo è gravissimo, da un punto di vista della legittimità democratica e soprattutto costituzionale. C’è un presidente eletto Mohamed Morsi, imprigionato con accuse piuttosto fumose, un esercito che di fatto ha attuato un golpe militare, e un precedente presidente Hosni Mubarak, accusato durante la cosiddetta primavera araba di aver oppresso per anni l’Egitto come un dittatore, che sta per riottenere la libertà. I Fratelli musulmani da parte loro non intendono rinunciare al ricorso alla piazza mentre nel Sinai i fondamentalisti assassinano ferocemente poliziotti e ufficiali. È chiaro che qualcosa non funziona. Fonti giudiziarie al Cairo hanno riferito che il destituito presidente Morsi deve rispondere da oggi di un nuovo capo d’accusa per «complicità in omicidio e tortura” dei manifestanti che erano scesi in piazza davanti al palazzo presidenziale alla fine del 2012. Un giudice ha intanto condannato Morsi a 15 giorni di carcere per un nuovo caso di incitamento alla violenza. Lo ha reso noto l’agenzia di stato. Secondo la Mena, gli ulteriori 15 giorni di prigione serviranno appunto per indagare su accuse secondo le quali Morsi avrebbe partecipato «ad azioni violente». E già giovedì le autorità giudiziarie egiziane avevano prolungato di 30 giorni il periodo di detenzione per l’ex presidente in relazione a un’altra vicenda (evasione).
Intanto si apprende che Hosni Mubarak verrà scarcerato, riacquisirà i suoi gradi e finirà i suoi giorni – ha 85 anni – probabilmente a casa. Suona di riabilitazione, perlomeno politico-giudiziaria, l’ordine di scarcerazione deciso dai giudici: cancellata la condanna all’ergastolo per la violenta repressione del 2011, sulla vicenda è in corso un altro procedimento. Ora sono cadute le accuse più pesanti di natura amministrativa a suo carico. «Non è stato condannato, sono passati i 18 mesi di carcerazione preventiva, è quindi suo diritto uscire entro le prossime 48 ore», sottolinea il suo avvocato Farid el Dib, annunciando che Mubarak ha restituito i soldi ottenuti a suo tempo dal direttore di al Arahm, il più diffuso quotidiano egiziano, vicenda al centro di un ultimo processo nel quale l’ex rais è accusato di aver ottenuto illegalmente il denaro. A causa di questo procedimento ancora in corso, Mubarak otterrà una libertà condizionata, forse in un ospedale militare forse direttamente ai domiciliari in casa, saranno i giudici a decidere, spiega il legale. Mubarak è alla sbarra in quattro processi: quello sull’uccisione dei dimostranti nel 2011, nel quale è accusato di complicità in omicidio con il verdetto finale atteso tra due mesi dopo l’annullamento della prima sentenza, e altri tre di natura amministrativa, con accuse che vanno dall’appropriazione indebita ai guadagni illeciti in speculazioni immobiliari. Se la decisione dei giudici verrà confermata – la giustizia egiziana ha più volte mostrato la sua capacità di sorprendere il mondo con sentenze imprevedibili – Mubarak tornerà sulla scena da protagonista. La sua scarcerazione infatti, al di là dei tecnicismi giuridici, è soprattutto un messaggio politico: il governo provvisorio stretto nella morsa del confronto sanguinoso con i Fratelli musulmani da un lato, e della guerra al terrorismo nel Nord Sinai dall’altro, cerca nuove e più estese alleanze. Una necessità, alla luce dei conflitti interni sull’uso della forza contro i pro-Morsi, esplosi pubblicamente con l’addio del vicepresidente e Nobel per la pace Mohamed el Baradei, e dell’impossibilità di arrivare a una intesa con il fronte anti-golpe, che ha oggi reclamato una inchiesta internazionale contro quelli che ha definito i «crimini orribili» del generale Abdel Fatah Sisi e di una altro pezzo da novanta del governo, un altro generale, Mohamed Ibrahim, ministro dell’Interno. Resta da capire quale sarà l’impatto della scarcerazione di Mubarak sul fronte anti-Morsi, che trae linfa vitale dai giovani che hanno combattuto l’ancien regime e che certo saranno almeno una volta concordi con i rivali dei Fratelli musulmani sul rischio di un «ritorno al passato». Infine, destano orrore in Sinai le modalità dell’uccisione a sangue freddo di 25 poliziotti da un gruppo di uomini armati. I corpi, «con le mani legate, erano sul ciglio della strada, in un bagno di sangue», riferiscono testimoni. Gli agenti avevano ottenuto il congedo ed erano in abiti civili. Sono stati attaccati da 11 persone armate a bordo di 4 pickup, riferiscono fonti della sicurezza: li hanno giustiziati mentre gli altri bloccavano la strada. Poche ore dopo, un ufficiale dell’esercito egiziano veniva ucciso da un cecchino nella stessa zona.