A proposito della “Severino” e dintorni il Pdl sconta la sua assenza di prospettiva politica

21 Ago 2013 16:47 - di Mario Landolfi

Il fatto che lo scontro interno al Pdl tra falchi, colombe, pitonesse e fauna varia abbia poco a che vedere con la politica e molto a che fare con gli organigrammi è certificato non tanto dall’assenza di vero dibattito interno quanto dalla mancanza di assunzione di responsabilità del gruppo dirigente rispetto a quanto sta accadendo. L’idea che ne ricaverebbe un distratto passante è che la condanna definitiva di Berlusconi, la sua interdizione dalle cariche pubbliche, gli altri processi in corso, l’incombente procedura di decadenza da parlamentare al Senato, il governo in bilico, un giudice antipatizzante che legge la sentenza in Cassazione e poi ne deposita le motivazioni, in vernacolo, nelle pagine del Mattino di Napoli, siano eventi accidentali, capitati per caso, orfani di cause remote e profonde. Ne discende una situazione politica a dir poco caotica e surreale dove quello che era vero ieri non vale più oggi e viceversa.

Prendete la legge Severino, votata nella passata legislatura anche dal Pdl e oggi sospettata di incostituzionalità dallo stesso partito. Sbagliammo allora o c’incapricciamo adesso? E, di grazia, quale organo, quale autorità interna ordinò di approvarla nemmeno un anno fa? Ne renderà conto? Si potrebbe obiettare che il clima dell’epoca non consentiva di spaccare il capello in quattro. Obiezione respinta: temi come la libertà, l’irretroattività della legge penale, la tutela della sovranità popolare costituiscono altrettanti principi non negoziabili. Hanno un valore, non un prezzo. È vero che teneva ancora banco lo scandalo Fiorito con annessi banchetti a base di aragoste mentre rumorosissimi imperversavano i baccanali laziali rigorosamente in testa di maiale. Ma a cavalcarlo furono soprattutto i “garantisti” dell’ala forzista che vi intravidero lo spiraglio per regolare vecchi conti con gli ex-An, da sempre egemoni a Roma e dintorni. Erano le prove generali della pulizia etnica che di lì a poco avrebbe portato all’azzeramento di un’intera classe dirigente. E che dire del supino omaggio alla retorica delle liste pulite? Anche allora il garantismo fu intermittente e selettivo. Qualcuno degli epurati, mai condannato, nell’indifferenza di molti, ci ha rimesso pure la libertà. In compenso, i sondaggi sono risaliti. Quando si dice la forza dei principi…

Ma il surreale non tocca solo la politica. Anche i media cosiddetti “berlusconiani” hanno fatto la loro parte. Di recente qualcuno nel centrodestra ha recriminato contro un parlamento pavido che ha preferito farsela addosso piuttosto di affrontare il toro per le corna e ripristinare, attraverso l’originaria previsione dell’art. 68 della Costituzione, l’equilibrio tra potere legislativo ed ordine giudiziario. Questo qualcuno ha ragione. Era questa la madre di tutte le battaglie e meritava di essere combattuta con ben altro profilo dal Pdl. Peccato, però, che nel frattempo i giornali “amici” facessero a gara a chi la sparava più grossa e più precisa sulla schifosissima casta. Non si esagera dicendo che per un deputato o un senatore sarebbe stato molto più confortante adagiarsi su un letto d’ortiche che rivedersi quotidianamente effigiato nei titoli urlati in prima pagina come “pappone di Stato” o come titolare di insopportabili privilegi, dal vitalizio all’ascensore passando per la buvette di Montecitorio ed i sigari di Palazzo Madama. Lascia quanto meno perplessi vedere ora quegli stessi giornali e quelle stesse trasmissioni pressare il Colle o il premier invocando una soluzione politica per il Cavaliere che forse non c’è.

Morale: la politica si nutre di politica, cioè di azioni, idee, mediazioni in grado di fare sintesi e di generare decisioni sulle quali organizzare il consenso. Ricondurre e ridurre tutto a misura di uno, anche se è un uno eccezionale come Silvio Berlusconi, a lungo andare, non si rivela mai un buon affare. La cronaca delle ultime settimana lo sta plasticamente confermando. Purtroppo.

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