Può nascere una Destra per la Terza Repubblica? Il cantiere è aperto

1 Lug 2013 13:58 - di Gennaro Malgieri

Se la discussione sulla destra possibile s’infittisce, come i molti incontri delle ultime settimane testimoniano, è perché un’esigenza diffusa si è fatta strada: ricomporre ciò che è andato disperso non tanto per suscitare orgogliose passioni e non sopite aspettative politiche, quanto per dare luogo ad una soggettività che in una democrazia come la nostra è indispensabile sia ai fini degli equilibri rappresentativi, sia per costituire un elemento di raccordo con altre forze  nella prospettiva auspicabile di un nuovo centrodestra.

Se la Terza Repubblica vedrà la luce – e non potrebbe essere diversamente – è fin troppo chiaro che le famiglie “classiche” della politica, adeguatamente rinnovate, dovranno trovare il loro spazio e  la loro agibilità. Del resto se Silvio Berlusconi, constatata l’impossibilità di formare partiti a vocazione maggioritaria per le condizioni che non sono riproducibili in Italia, si è rassegnato a riesumare Forza Italia, non si capisce per quale motivo una destra ricomposta, ristrutturata, modernizzata non possa riprendere un terreno ad essa congeniale e competere con altre, da alleata con alcune e da avversaria con altre.

È questo il senso di chi ritiene come nel segno di una rinnovata speranza di cambiamento repubblicano si possano situare soggettività in grado di contribuire, con le idee e le proposte innanzitutto, ad un più ordinato svolgimento della vita politica del Paese. La destra porterebbe il suo bagaglio di esperienza e tradizione accumulato in oltre sessant’anni di vita politica ed una cultura dello Stato, della nazione, della comunità, della solidarietà e del merito che fanno parte del suo bagaglio insieme a quella certa idea dell’Europa vilipesa dai burocrati e dai tecnocrati che hanno contagiato il Vecchio Continente smembrando identità e culture sacrificate sull’altare del pensiero unico e dell’alta finanza.

C’è bisogno di chi, con maggiore radicalità, pur tenendosi aggrappato al Ppe come riferimento europeo di conservatori e popolari, del quale condivide i valori etici e la centralità della persona, ha tutto il diritto di proporsi come riferimento elettorale, e non solo, di una porzione consistente della comunità nazionale al fine di far vivere politicamente principi sedimentati nel profondo dell’anima di un popolo. Non si capirebbe il motivo di un “ritiro” della destra dalla politica italiana quando le operazioni che dovevano comprenderla, insieme con molti altri soggetti, si sono rivelate impraticabili e se n’è preso atto, come ha fatto Berlusconi.

Adesso, pur nell’ambito coalizionale oltre il quale ogni azione politica sarebbe velleitaria ed estraniante, la destra dovrebbe provare a ricomporre le fratture recenti e remote, magari federando i vari soggetti in vista di una prospettiva unitaria. Ci si riuscirà? E’ a questo interrogativo che tenta di rispondere il vasto dibattito che si sta articolando, nella speranza che sugli egoismi prevalga la ricerca del bene comune. Credo che nessuno si nasconda la difficoltà dell’operazione, ma bisogna essere convinti che l’obiettivo non è quello di mettere insieme una colorata mini-coalizione, bensì di offrire agli elettori che oggi non votano una concreta promessa di rinnovamento nazionale. Per la Terza Repubblica, presidenziale e partecipativa naturalmente.

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