Gran Bretagna-Ue: il difficile dialogo tra dinamismo e debito

17 Lug 2013 14:40 - di Silvano Moffa

L’Europa sta sottovalutando il rischio che la Gran Bretagna esca dall’Unione. La preoccupazione, resa esplicita dal presidente del Consiglio italiano nel corso della sua visita a Downing street,  trova conforto nelle pieghe dell’intervista rilasciata a Repubblica dal premier David Cameron. Il neo-conservatore anglosassone  sta sperimentando  le linee di una destra moderna, innovatrice, che affronta le  emergenze  e i problemi della post-modernità con il taglio di un capitalismo comunitario a vocazione sociale; una destra che  si apre al confronto con i temi dell’ambiente, dell’ecologia, dei diritti civili, e incanala in un costrutto di natura politico-legislativa l’idea di una grande società solidaristica. Una idea di Big Society, appunto, che si fonda sul dinamismo dei territori e delle comunità locali; che spinge con forza verso la liberalizzazione dei servizi pubblici  locali e il sostegno all’impresa sociale; che delinea un nuovo patto tra Stato e cittadini, in  base al quale questi ultimi riacquistano dallo Stato beni comuni, sia pure nelle forme comunitarie, e li valorizzano per erogare prestazioni e servizi a elevata ricaduta sociale.

Terreni, parchi e giardini abbandonati, immobili dismessi, biblioteche, ostelli, capannoni industriali svuotati di manodopera, scuole, asili, spazi di lavoro entrano nel grande riciclo promosso da questa idea di rinascenza, pulsante dal basso, di una comunità in movimento. Una comunità che non si rassegna all’impoverimento, né si lascia imbolsire dalle  lusinghe del welfare promise, la promessa di un sussidio di disoccupazione e di un livello minimo di assistenza sociale. Una comunità che ha deciso di rimettersi in cammino con le sue gambe e i suoi polmoni. L’obiettivo è uscire dalla Grande crisi di questi anni rendendo vitale e produttivo tutto quel che odora di non profit, di cooperazione e di imprese organizzate su base comunitaria. Persino nel campo della finanza pubblica il neo-conservatorismo anglosassone ha generato strumenti appropriati per far decollare il mercato della finanza sociale, affidando alle principali banche della City compiti di intermediazione. Di qui è nato un superfondo senza fini di lucro a sostegno di progetti specifici, utili a generare rendimenti e a produrre valore  sociale.

Insomma, Oltremanica, c’è un fermento di iniziative i cui effetti positivi sul bilancio dello Stato e sulla economia complessiva del paese cominciano a  vedersi. Come si può pensare che un tale dinamismo, pur con le sue difficoltà e i suoi limiti, alla lunga non si scontri con una Europa sempre più provata dalle politiche del debito e a scartamento ridotto nel recupero di capacità competitiva?  Dice Cameron nell’intervista citata:”Il mio approccio è di non indietreggiare davanti ai problemi  fingendo che non esistono, bensì affrontarli a viso aperto  . In gennaio ho presentato la mia visione di un’Unione Europea più aperta, competitiva e flessibile, e che pensi di più ai costi sulle imprese, particolarmente le piccole imprese. Mi sono anche espresso a favore di un’Unione Europea più equa e più democraticamente responsabile. Sono convinto che un’Unione del genere sarebbe migliore per tutti i suoi paesi”.

Parole chiare e nette. Che non lasciano spazio ad equivoci di sorta. Parole che fanno capire non solo qual è la chiave di lettura degli inglesi nei confronti dell’Europa e della crisi , ma che dovrebbero scuotere dal torpore Enrico Letta e il suo governo. Non basta, infatti, essere d’accordo sui principi se poi si fa poco o nulla sul piano concreto per attuarli. Mentre qui da noi, in Italia, si rincorrono dispute bizantine, ci si accalora per un nonnulla  e si rinvia la soluzione dei problemi sine die , altrove si sperimentano vie nuove e si elaborano inediti paradigmi per uscire dalla crisi. Non è un caso che il conservatore Cameron  mostri di essere il più innovatore dei leader europei. Dalle sue parti hanno saputo guardare alle radici profonde della  cultura e della identità europee, hanno scrutato  tra le forme di organizzazione e di vita sociale in epoche passate, dalle corporazioni delle arti e dei mestieri che resero fiorente le botteghe artigiane medievali al modello del made in Italy che ha diffuso nel mondo la parte migliore della nostra imprenditoria del lusso, del design e dell’alimentare ; e da questo prezioso giacimento di cultura, intelligenza e coraggio hanno tratto le leve  per costruirsi  un futuro.

E pensare che quella tradizione che ora riverbera nelle idee di Cameron nacque in Italia e ha resistito al tempo anche da noi. La si trova nelle oltre 470 mila onlus, nelle imprese sociali, cooperative, fondazioni e nelle innumerevoli istituzioni in cui operano oltre 500 mila addetti e circa 4 milioni di volontari. E’ l’area del no-profit. Essa conta 8 milioni di utenti e 38 miliardi di euro di entrate. E’ il  terzo settore che fatica ad entrare in un disegno comune  che irradi e pervada in lungo e in largo il paese. Altrove, in Inghilterra, la destra lo ha trasformato in Progetto politico di cambiamento della società e dello Stato. Da noi, a destra, ci  si perde dietro sterili elucubrazioni.

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