Un consiglio a Saccomanni: per ridurre la spesa pubblica cominci dalla casta “invisibile” delle Regioni
C’è una casta di cui si parla assai poco. È quella dei poteri regionali, i quali, per quanto possa sembrare strano, raramente attirano su di sé gli strali dei tanti, indignati moralizzatori in circolazione.
Non a caso, Pierfrancesco De Robertis la definisce in un libro uscito qualche mese fa La casta invisibile . Ogni tanto, per la verità, qualcosa pur esce sui giornali sugli incredibili sperperi causati dalle varie amministrazioni con la benedizione (trasversale) dei poteri politici locali. Il Corriere della Sera ha ad esempio rilanciato in questi giorni la vecchia polemica sulle «178 ambasciate» delle Regioni in «tempi di spending review». Da quando, scrive il quotidiano di via Solferino, le «Regioni hanno preso a gestire valanghe di denaro, la tentazioni di comportarsi come Stati sovrani è stata inarrestabile». Giustissimo. Senonché, una volta esposto il problema, bisognerebbe provare ad andare un po’ più in profondità. Perché quelle «valanghe» di denaro alle Regioni hanno un padre e una madre, cioè il centrosinistra (il padre) la legge di “riforma”, nel 2001, del Titolo V della Costituzione (la madre). Si è trattato di una delle decisioni più sciagurate e disastrogene mai approvate dal Parlamento italiano. Una legge che fu concepita per erodere il consenso della Lega (di lì a breve si sarebbe votato per le politiche) e che rimane, da 12 anni, come una delle più grandi voragini presenti nel bilancio pubblico.
Per cui ci permettiamo sommessamente di consigliare al ministro dell’Economia Saccomanni di cominciare proprio da lì per ridurre seriamente la spesa pubblica. «Riconvocheremo –ha detto il ministro in una intervista, sempre al Corriere – il comitato interministeriale per il controllo della spesa e avremo un commissario straordinario. Ad esempio i costi standard sono già stati applicati alla spesa sanitaria». Davvero? Ne siamo lieti. Ma rimane il fatto che non si potrà turare in modo permanente la falla degli sperperi regionali senza una vera “riforma” della riforma. E, quanto ai costi standard. non siamo poi tanto sicuri che questi funzionino realmente. Il motivo? E’ semplice, dal momento che è pressoché impossibile, con la legislazione vigente, capirci qualcosa con la contabilità delle Regioni e delle Asl.
Conviene citare quello che in proposito scrive De Robertis: «Apparirà incredibile ma oggi come oggi lo Stato, che in fin dei conti paga il saldo complessivo, non sa se costa più una tac a Milano o a Palermo, a Bologna o a Cagliari; non sa quanto viene pagata una siringa a Torino o a Bari, e neppure quanto si spende per una dato in teoria “grezzo” come può essere un posto letto». Il fatto è che è assente un modello unificato di bilancio per Asl, Regioni ed Enti Locali. «Ognuna redige il proprio documento contabile nel modo che crede, considera le poste che vuole considerare, rendendo di fatto impossibile un confronto con gli altri». Come si allora a determinare i costi standard?