Serve una rivoluzione fiscale che snidi i furbi, ma anche la spesa pubblica va riformata

17 Giu 2013 15:53 - di Oreste Martino

Le parole del ministro Saccomanni sulle oggettive difficoltà a eliminare l’Imu e contemporaneamente evitare l’aumento dell’Iva portano il governo Letta allo stesso punto di stallo in cui si erano trovati i governi precedenti. A situazione invariata di spesa pubblica e di entrate fiscali la coperta è cortissima e comunque la si tira lascia qualcosa scoperto. Si parla tanto delle importanti riforme istituzionali e non poco di quella elettorale, ma nessuno o quasi mette testa su quello che oggi è il vero problema dell’Italia e degli italiani, cioè l’equilibrio tra le entrate attraverso la pressione fiscale e le uscite attraverso la spesa pubblica.

Nelle scorse settimane è stato pubblicato l’ennesimo rapporto annuale sui redditi delle varie categorie e il quadro emerso è come sempre vergognoso. Abbiamo scoperto che anche nel 2011 i titolari di svariate attività, spesso redditizie, guadagnano meno dei loro commessi. Leggere che categorie intere di professionisti, commercianti e artigiani vivono teoricamente insieme con la loro famiglia con 500 euro netti al mese oltre a offendere chi fa il suo dovere di contribuente viola alla radice il patto sociale su cui si regge un Paese.

La vera scommessa del futuro è la costruzione di un nuovo patto sociale all’insegna dell’equità e della buona amministrazione. È infatti inaccettabile che il peso del fisco gravi soprattutto su quel ceto medio che vive di busta paga, nonché sugli operai, impoverendo milioni di famiglie che ormai hanno rinunciato a sperare nell’ascensore sociale per i loro figli. I nuovi poveri oggi sono gli insegnanti, le forze dell’ordine, gli impiegati, gli operai, stretti in una morsa fiscale dalla quale non possono liberarsi, mentre i loro datori di lavoro dichiarano cifre esigue e hanno un tenore di vita da invidiare. Tale situazione non ha solo una valenza economica, ma ha soprattutto un aspetto etico a cui la politica deve guardare con grande attenzione, facendosi carico di una riforma fiscale che diventi anche un nuovo patto sociale tra cittadini e che archivi definitivamente la stagione dei furbi e dei fessi, di chi può permettersi di evadere e di chi non può garantire opportunità ai figli perché è costretto a pagare i servizi pubblici anche per il suo datore di lavoro evasore.

Ovviamente lo Stato per imprimere e imporre una rivoluzione fiscale che snidi i furbi deve prima dimostrare di saper spendere i soldi che i cittadini gli versano, riformando seriamente la gestione della spesa pubblica. In Italia la spesa pubblica è fuori controllo non solo nei numeri, ma anche nel metodo con cui si spende. Amministrazioni centrali, enti locali, Asl, università, enti territoriali, municipalizzate, società pubbliche e miste. I centri di spesa sono infiniti e con un’infinità di rivoli che sperperano denaro diventa impossibile porre un freno, creare una diga. Bisogna uscire dall’ubriacatura del decentramento a tutti i costi e studiare un piano di centralizzazione della spesa pubblica, recuperando risorse significative che potrebbero servire a far calare la pressione fiscale.

In sostanza si può dire che certamente il Paese ha bisogno di una nuova Costituzione e di una nuova legge elettorale, ma che serve soprattutto un nuovo patto sociale sul fisco e una rivoluzione della spesa pubblica senza la quale non avrà mai le risorse per essere autenticamente equo e per investire su quell’ascensore sociale che una grande Nazione ha il dovere di offrire come opportunità ai suoi giovani.

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