Rappresentanza: ok alle regole, ma niente stop al sindacato conflittuale
L’Ugl ha firmato l’intesa sulla rappresentanza con Confindustria come atto di responsabilità verso i propri iscritti e i lavoratori, per dimostrare con i fatti la volontà di misurare la propria forza nel settore privato, così come già prevedevano gli accordi interconfederali del 2011 da noi sottoscritti. Ovvero certificandola con maggiore forza e trasparenza. Aspetto importante perché determina soprattutto la possibilità per ogni organizzazione di sedere ai tavoli dei rinnovi contrattuali, attraverso un sistema che mette insieme deleghe sindacali (le tessere) e voti raccolti durante le elezioni dei rappresentanti sindacali (Rsu) nei luoghi di lavoro. L’unica preoccupazione è in merito al periodo di forte destabilizzazione come quello che da lungo tempo stiamo vivendo e che i lavoratori stanno subendo nelle loro fabbriche in crisi, nel quale è importante lasciare spazio a quelle sigle, soprattutto autonome e di base, che danno voce ad un malcontento tra la gente che vive di reddito da lavoro, meno disposte a mediare e più orientate al conflitto.
Un altro aspetto importante dell’intesa riguarda validità e esigibilità dei contratti nazionali collettivi di lavoro (ccnl): un contratto è considerato valido ed esigibile quando viene sottoscritto da almeno il 50 per cento più uno delle organizzazioni sindacali deputate a trattare e “confermato” da una consultazione certificata della maggioranza semplice delle lavoratrici e dei lavoratori. L’Ugl con queste regole ha già fatto le “prove generali” in Fiat, accettando il famoso accordo che tante polemiche e ricorsi giudiziari ha scatenato, e dunque è preparata ad affrontare il futuro.
Mentre la crisi continua a mordere, l’unica difesa concreta che possiamo offrire a iscritti e non, perché tutti sono lavoratori, è fare contratti, preservare l’occupazione che già esiste, contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro. E per fare questo bisogna saper mediare e trattare, se vogliamo continuare ad esistere almeno per altri 60 anni. Inoltre la pensiamo come il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, – ed è questa un’altra ragione che ci ha convinto a firmare –quando sostiene che «produrre significa lavoro, lavoro significa meno precarietà, migliori tutele, crescita dei salari e della domanda interna». Spazio per altro, soprattutto per le chiacchiere, ormai non c’è più.