L’Ocse accusa, la giustizia civile è un fardello per l’economia italiana: ha lo stesso impatto soffocante del debito pubblico

21 Giu 2013 18:15 - di Antonio Pannullo

La giustizia civile non funziona. Si sapeva, ma l’ennesima conferma viene dall’autorevolissima Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che spiega anche il perché. L’arretrato crescente «ha lo stesso impatto soffocante che ha il debito pubblico». Efficace il paragone del vice segretario dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, che lo definisce «un fardello di cui dobbiamo liberarci». Con 2.866 giorni, quindi all’incirca otto anni, per la definizione di una causa nei tre gradi di giudizio, l’Italia è “maglia nera” tra i Paesi dell’Ocse, 34 i membri, per la durata del processo civile. Una “zavorra” che ha effetti diretti sul piano economico e nella fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Il rapporto dell’organizzazione su “Giustizia civile: come promuovere l’efficienza” dà il polso di quello che il presidente del Senato Piero Grasso ha definito un «girone dantesco». Nel 2010 si sono impiegati 564 giorni per il primo grado, contro una media Ocse di 240 giorni e i 107 del Giappone, che ha invece la giustizia civile più veloce del mondo. Il tempo medio stimato per la conclusione di un procedimento nei tre gradi di giudizio è di 788 giorni, ossia più di due anni. Con un minimo di 368 in Svizzera e un massimo di quasi 8 anni, appunto, in Italia. Questo nonostante si tratti di due Paesi che destinano al sistema giudiziario la stessa quota di Pil, lo 0,2%. Meno investimenti da parte delle aziende, minore fluidità del mercato del lavoro, condanna al nanismo d’impresa e maggior costo del credito sono gli effetti diretti – avverte l’Ocse – della giustizia lumaca sul piano economico: un circolo vizioso con un impatto sul Pil stimabile in una perdita dell’1%. Ma non si può scordare un effetto indelebile, di carattere generale: la perdita di credibilità delle istituzioni. Come affrontare allora la crisi della giustizia civile? La premessa è che ridurre la litigiosità del 35% farebbe ridurre la durata dei processi civili del 10%. L’Ocse misura risultati positivi nei Paesi che hanno introdotto un “filtro di ammissibilità” dell’appello. E che hanno un “mercato dei servizi legali” liberalizzato. Poi la raccomandazione che negli studi dell’Organizzazione si ripete da anni: è necessario ridurre l’opacità, l’incertezza istituzionale, e la diffusione dei fenomeni corruttivi. «Non è accettabile che i processi siano percepiti come un girone dantesco e che sia “fammi causa” la minaccia più frequente e più efficace per opporsi alle rivendicazioni dei diritti», ha scandito Grasso, presentando il rapporto in Senato. La seconda carica dello Stato ha garantito «l’impegno ad assicurare un celere dibattito parlamentare sulle misure che saranno proposte». Incassato l’apprezzamento dell’Ocse sul decreto di sabato scorso che punta al taglio di un milione e 200mila pendenze complessive, il ministro Cancellieri ha rilanciato, battendo cassa: «C’é l’esigenza di contare su risorse finanziarie e umane adeguate a sostenere e accompagnare lo sforzo di riforma».

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