Governo in bilico e Pd tentato dalla spallata, complici i grillini dissidenti. Un’estate bollente
Sarà anche più solido il governo Letta dopo il varo del decretone del Fare, talmente “omnicomprensivo” da lasciare perplessi sull’attuazione dei suoi ottanta punti. E con la “spinta” di Berlusconi che si dichiara “molto soddisfatto”, il premier potrebbe andare avanti abbastanza tranquillamente. Il condizionale però è d’obbligo.
Nelle pieghe della maggioranza si scorge un’inquietiudine diffusa che potrebbe espolodere da un momento all’altro, inciampando su un qualsiasi problema. A cominciare, per esempio, da quello delle riforme istituzionali. Ormai non è più un mistero che Gaetano Quagliariello viene contestato dai vertici del suo partito un giorno sì e l’altro pure. Il redivivo Sandro Bondi gli ha riflilato dei colpi micidiali che non lasciano presagire un buon clima nel Pdl per affrontare lo spinoso tema. Così come falchi e colombe sono sul piede di guerra per ciò che concerne l’Imu e l’Iva: in molti, e non certo a bassa voce, invocano azioni “esemplari” fino al ritiro della fiducia al governo perché la strada indicata non la si sta davvero seguendo. Incontentabili? No, coerenti. Se non si poteva mantenere la parola data bastava dirlo subito ed ognuno si sarebbe assunte le proprie respèonsabilità. Invece l’equivoco ha avuto la meglio sulla chiarezza e tanto è bastato a Brunetta e soci per insorgere contro le inadempienze del governo il quale nell’impossibilità di reperire le risorse che verrebbero meno dall’abolizione totale dell’Imu e dal mancato aumento dell’Iva (impossibile perché l’impegno è stato preso a livello europeo), vara appunto un decreto “del fare” che, almeno nell’immaginario collettivo, dovrebbe sopire per un po’ le polemiche.
Ma non basterà. Sarebbe un errore confondere la tenuta dell’esecutivo con i movimenti che si manifestano nelle forze politiche che lo sostengono. Se Berlusconi, per motivi facilmente intiuibili legati alle sue vicende giudiziarie che non vuole si sovrappongano a quelle politiche, ritiene che il governo deve comunque anadare avanti, dalla parte opposta si sostiene l’esatto contrario, talvolta sottovoce, talatra con toni più forti. Se un Epifani semi-ecumenico cerca di non far apparire il Pd come un’accozzaglia di sfasciacarrozze, Bersani non rinuncia al progetto del “governo del cambiamento” , forte di quanto sta accadendo in casa Cinque stelle, torna ad accarezzare il progetto iniziale immaginando un “ribaltone” al quale è sensibile la maggior parte dei parlamentari del suo partito.
Dopo il successo delle amministrative, del resto, è ancora più comprensibile che il Pd abbia una voglia smodata di staccare la spina a Letta e di non perdere l’occasione del primato riconquistato (nei comuni e nei sondaggi) per giocarsi la partita che metterebbe in ginocchio il Pdl che non gode buona salute, dilaniato dai problemi interni, incerto se assumere un’altra veste (Forza Italia) ed un’altra forma, appeso alle questioni processuali di Berlusconi, in crisi finanziaria e di fronte ad una possibile mini-scissione da parte di alcuni elementi ex-An, come l’ex-sindaco di Roma Gianni Alemanno.
Tuttavia, se il governo dovesse cadere, diffcilmente cadrebbe anche la legislatura. Il Pd sarebbe pronto a raccogliere il “grido di dolore” di quei grillini che vorrebbero staccarsi dal padre-padrone e mettersi finalmente in gioco. Per ora smentiscono, ma i movimenti sono evidenti. Basterebbero una ventina di senatori ed i gioco si aprirebbe, i giorni di Letta sarebbero contati e non ci sarebbero neppure le condizioni per sciogliere le Camere in presenza di un’altra maggioranza.
Fantascienza? Non tanto. Basta non accontentarsi delle apparenze nell’osservare la politica. Ciò che si muove dietro di essa è sempre più significativo di quanto ufficialmente si manifesta.