Dolce e Gabbana condannati per frode fiscale. Gli stilisti: «Un’ingiustizia, faremo ricorso»

19 Giu 2013 18:46 - di Antonio Pannullo

Gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati condannati a un anno e 8 mesi dal tribunale di Milano in relazione ad una presunta evasione fiscale da circa un miliardo di euro. Il giudice della II sezione Penale, Antonella Brambilla, oltre a condannare i due stilisti a un anno e otto mesi, ha inflitto altre quattro condanne ad altrettanti imputati, tra i quali il fratello dello stilista, Alfonso Dolce, e altri manager, tutti sotto i due anni e con la sospensione condizionale della pena. Un imputato invece, Antoine Noella, è stato assolto perché il fatto non costituisce reato. Il giudice, in particolare, ha concesso le attenuanti generiche ai due stilisti e ad altri imputati e li ha condannati per solo uno dei due reati contestati, l’omessa dichiarazione dei redditi, e non per quello di dichiarazione infedele dei redditi. Per quest’ultimo reato (per cui tra l’altro era scattata la prescrizione) il giudice li ha assolti perché il fatto non sussiste. Secondo i pm di Milano Laura Pedio e Gaetano Ruta (che avevano chiesto per i due stilisti una condanna a due anni e sei mesi), sarebbe stata creata nel 2004 una “scatola” di diritto lussemburghese, la società Gado, che risultava essere la proprietaria di due marchi del gruppo, per ottenere vantaggi fiscali. In sostanza, agli stilisti era contestata un’operazione di “esterovestizione”. Tuttavia il reato riconosciuto dal giudice alla sentenza di condanna è relativo a circa 200 milioni di imponibile e non alla parte rimanente, di circa 800 milioni di euro della contestazione, per cui è arrivata l’assoluzione nel merito. Lo scorso marzo, la commissione tributaria aveva confermato in secondo grado la maxi-sanzione da 343 milioni di euro a carico di Dolce e Gabbana per l’evasione fiscale. Dolce e Gabbana, i due fondatori della multinazionale della moda,  dovranno anche risarcire, assieme ad altri imputati, l’agenzia delle Entrate, costituita parte civile nel processo. Lo ha deciso il giudice che ha stabilito un risarcimento a titolo di provvisionale, di 500 mila euro.

«Leggeremo le motivazioni e impugneremo in appello»: è la reazione dell’avvocato Massimo Dinoia, della difesa degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. «La sentenza del tribunale, pur condannando il dottor Patelli, non ha tuttavia condiviso lo schema di pena proposto dal pm». Lo spiegano gli avvocati Giuseppe Bana e Fabio Cagnola, difensori di Luciano Patelli, commercialista condannato a un anno e 8 mesi. «La pena per il dottor Patelli è stata quasi dimezzata rispetto alla originaria richiesta di 3 anni – spiegano i legali – ed è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale. In altre parole, rispetto al trattamento sanzionatorio richiesto dal pm, che prevedeva per il consulente fiscale una pena ancora più alta rispetto a quella richiesta per il suo cliente, la sentenza ha seguito una impostazione secondo la quale il cliente e il consulente sono meritevoli dello stesso trattamento sanzionatorio. Valuteremo – proseguono – con attenzione le motivazioni della decisione, e proporremo appello per dimostrare che il progetto di riorganizzazione aziendale, proposto dal dottor Patelli, rispondeva pienamente a criteri di trasparenza ed effettività. Dal dibattimento, chiariscono ancora i difensori, è d’altra parte, emerso con chiarezza che tale progetto di riorganizzazione rispondeva a precise e dimostrate esigenze di carattere economico-finanziario ed imprenditoriale, originate, tra l’altro, da sollecitazioni provenienti dal mondo bancario e finanziario, che raccomandavano la riconduzione dei marchi, fino a quel momento detenuti personalmente dai due stilisti, nel perimetro sociale, e ciò sia in vista di un’espansione internazionale e di un’eventuale quotazione in borsa, sia in relazione all’esigenza di ridefinire gli assetti proprietari del gruppo». Quindi, dicono i legali, «Patelli ha esplicitato nel proprio progetto le condizioni e i limiti richiesti dalla legge, raccomandando al management del gruppo di organizzare la struttura aziendale della società Gado, attraverso la predisposizione di personale e strutture idonee a garantire la piena autonomia ed effettività della gestione lussemburghese. Patelli è sempre rimasto estraneo alla fase della gestione operativa del piano, non rientrando la gestione né nell’oggetto del suo incarico né nelle sue competenze».

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