Con la sconfitta di Alemanno si chiude il ciclo della Destra al governo
11 Giu 2013 13:11 - di Silvano Moffa
Con la sconfitta di Alemanno a Roma si chiude un ciclo. Quello della Destra al governo. Sono passati venti anni esatti da quando, con la prima elezione diretta dei sindaci, caldeggiata da Giorgio Almirante, proprio a Roma, Gianfranco Fini contrastò con un risultato all’epoca sorprendente Francesco Rutelli in un ballottaggio che lo vide soccombere ma non sconfitto politicamente. Prima dell’exploit di Roma, in alcuni Comuni uomini del Msi si erano affermati rompendo in alcuni casi l’egemonia della sinistra, proponendo una destra di governo che di lì a non molto seppe diffondersi in varie province, imponendosi spesso per stile, onestà e spirito innovativo nella amministrazione locale. Esperienze, per la verità, non sempre apprezzate dalle oligarchie del partito e di cui non si seppe valorizzare la forza penetrante nella comunità per renderne solida e duratura la presenza nella società.
Si spegne quindi l’ultima luce di una stagione punteggiata da una escalation che portò la destra nelle stanze del governo nazionale, fino ai più alti livelli istituzionali. Scende il sipario. Nella netta sconfitta del centrodestra nelle amministrative di oggi non c’è nulla che aiuti a lenire le ferite. La ferrea regola della politica abbandona i protagonisti al loro destino, dopo anni di errori, di grossolane ambizioni coltivate senza la necessaria caratura, di ottuse chiusure verso il meglio che pur fioriva su quel versante, a tutto vantaggio del peggio, sia in termini di uomini che di linea politica. Rotture identitarie, pragmatismo declinato all’infinito come antidoto alla pochezza delle idee e all’inaridirsi degli ideali. Uno stile sempre meno nobile e signorile fatto entrare prepotentemente nella casa delle istituzioni. La presunzione eretta a sistema mentre gli italiani invocavano competenza ed umiltà. Il tutto condito con spregiudicato cinismo, con una ottusità tale da rendere superflua e dannosa ogni presenza in posti di rilievo che pur contano se davvero ci fosse stata piena e responsabile consapevolezza del ruolo e della funzione che veniva assegnata. Così la Destra si è persa rendendosi indistinta nei tratti che la nobilitavano e dannatamente visibile nella connotazione che ne infangava la reputazione. La sconfitta porta in sé questi connotati. Inutile negarlo. A Roma, Alemanno paga lo scotto di una stagione amministrativa punteggiata dalle malversazioni di un personale approssimativo chiamato a rivestire ruoli non confacenti e dalla mancanza di una Idea forte per una Capitale internazionale. Allo stesso modo come nella Regione Lazio, qualche mese fa, si è pagato il caso Fiorito con tutti gli ammennicoli di indecenza che quelle vicende hanno rappresentato. Nascondere la polvere sotto il tappeto è stato inutile oltre che spocchioso esercizio di sovrana presunzione.
Ora che la Destra di governo tramonta a Roma, dopo essere stata espulsa dal Pdl, non resta che sperare in un nuovo inizio per riempire la voragine che si è aperta. Senza inutili nostalgie, sterili ritorni al passato, vuote elucubrazioni di colonnelli senza stellette e senza eserciti. Ci vuole umiltà per ridare dignità alla Destra. Ma ci vuole, soprattutto, la forza delle idee da mettere in campo. Una proposta concreta e credibile che poggi su una salda cultura di fondo. Ci sono temi, come quello della Sovranità , in un mondo scompaginato dalla finanza globale distruttrice dei valori portanti delle Nazioni, che richiamano la Destra ad un ruolo centrale. Per non parlare delle dinamiche demografiche, del rapporto nord-sud, della domanda di senso che pone un paese frantumato e disperso nella giungla degli egoismi e dei particolarismi. Ci sono nuove frontiere da attraversare. Senza paura e senza il complesso della sconfitta. In fondo, a pensarci bene, quei voti che oggi sono mancati alla destra ( e al centrodestra nel suo complesso) in gran parte non sono andati a nessun altro. Sono rifluiti nell’astensionismo. Problema enorme, certamente. Ne abbiamo trattato appena ieri in maniera diffusa. Ma problema non insormontabile. Quella platea di cittadini attende da noi una proposta credibile abbinata a comportamenti e stili onesti, puliti, disinteressati, in linea con una forte domanda di moralità pubblica . È troppo chiedere a noi stessi uno sforzo per essere all’altezza di quella richiesta? Passa di qui la costruzione di una destra possibile, onesta e necessaria.
Si spegne quindi l’ultima luce di una stagione punteggiata da una escalation che portò la destra nelle stanze del governo nazionale, fino ai più alti livelli istituzionali. Scende il sipario. Nella netta sconfitta del centrodestra nelle amministrative di oggi non c’è nulla che aiuti a lenire le ferite. La ferrea regola della politica abbandona i protagonisti al loro destino, dopo anni di errori, di grossolane ambizioni coltivate senza la necessaria caratura, di ottuse chiusure verso il meglio che pur fioriva su quel versante, a tutto vantaggio del peggio, sia in termini di uomini che di linea politica. Rotture identitarie, pragmatismo declinato all’infinito come antidoto alla pochezza delle idee e all’inaridirsi degli ideali. Uno stile sempre meno nobile e signorile fatto entrare prepotentemente nella casa delle istituzioni. La presunzione eretta a sistema mentre gli italiani invocavano competenza ed umiltà. Il tutto condito con spregiudicato cinismo, con una ottusità tale da rendere superflua e dannosa ogni presenza in posti di rilievo che pur contano se davvero ci fosse stata piena e responsabile consapevolezza del ruolo e della funzione che veniva assegnata. Così la Destra si è persa rendendosi indistinta nei tratti che la nobilitavano e dannatamente visibile nella connotazione che ne infangava la reputazione. La sconfitta porta in sé questi connotati. Inutile negarlo. A Roma, Alemanno paga lo scotto di una stagione amministrativa punteggiata dalle malversazioni di un personale approssimativo chiamato a rivestire ruoli non confacenti e dalla mancanza di una Idea forte per una Capitale internazionale. Allo stesso modo come nella Regione Lazio, qualche mese fa, si è pagato il caso Fiorito con tutti gli ammennicoli di indecenza che quelle vicende hanno rappresentato. Nascondere la polvere sotto il tappeto è stato inutile oltre che spocchioso esercizio di sovrana presunzione.
Ora che la Destra di governo tramonta a Roma, dopo essere stata espulsa dal Pdl, non resta che sperare in un nuovo inizio per riempire la voragine che si è aperta. Senza inutili nostalgie, sterili ritorni al passato, vuote elucubrazioni di colonnelli senza stellette e senza eserciti. Ci vuole umiltà per ridare dignità alla Destra. Ma ci vuole, soprattutto, la forza delle idee da mettere in campo. Una proposta concreta e credibile che poggi su una salda cultura di fondo. Ci sono temi, come quello della Sovranità , in un mondo scompaginato dalla finanza globale distruttrice dei valori portanti delle Nazioni, che richiamano la Destra ad un ruolo centrale. Per non parlare delle dinamiche demografiche, del rapporto nord-sud, della domanda di senso che pone un paese frantumato e disperso nella giungla degli egoismi e dei particolarismi. Ci sono nuove frontiere da attraversare. Senza paura e senza il complesso della sconfitta. In fondo, a pensarci bene, quei voti che oggi sono mancati alla destra ( e al centrodestra nel suo complesso) in gran parte non sono andati a nessun altro. Sono rifluiti nell’astensionismo. Problema enorme, certamente. Ne abbiamo trattato appena ieri in maniera diffusa. Ma problema non insormontabile. Quella platea di cittadini attende da noi una proposta credibile abbinata a comportamenti e stili onesti, puliti, disinteressati, in linea con una forte domanda di moralità pubblica . È troppo chiedere a noi stessi uno sforzo per essere all’altezza di quella richiesta? Passa di qui la costruzione di una destra possibile, onesta e necessaria.