Caso Cucchi: condannati solo i medici. Polemiche sulla sentenza. E la sinistra la butta subito in politica
Stefano Cucchi è morto solo per colpa dei medici. Non ci sono altri responsabili. Così ha stabilito la Corte di Assise di Roma in una sentenza sicuramente destinata a far discutere a lungo. Gli agenti della polizia penitenziaria, che secondo l’accusa avrebbero inferto al giovane percosse mortali, non sono stati ritenuti colpevoli. Il giudice ha condannato cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma per omicidio colposo e un altro medico per falso ideologico. Non è stata accolta la richiesta dell’accusa che aveva prospettato per gli imputati il reato di abbandono di incapace. Assolti invece gli infermieri. Cucchi morì di fame e di sete il 22 ottobre del 2009 al Pertini dopo essere stato arrestato sei giorni prima per droga.
La sentenza è stata accolta da fischi e urla di protesta. Piange di rabbia e di delusione la sorella di Stefano, Ilaria, che si batte da anni per individuare le responsabilità nella morte del fratello. Affranti anche i genitori. “Me l’hanno ucciso un’altra volta”, ha esclamato la madre, Rita. E il padre, Giovanni: “È una sentenza inaccettabile, proseguiremo”.
Un senso di perplessità si sta producendo nell’opinione pubblica. È una sentenza che non dissolve le varie ombre della vicenda. Come è possibile che Cucchi sia morto solo per l’abbandono dei medici? Mai come in questo caso è necessario attendere le motivazioni della decisione dei giudici. È certo però che non contribuisce alla serenità del giudizio la politicizzazione del caso venuta già da Ingroia. Giachetti e da Sel. La vicenda Cucchi è una vicenda dolorosa. Ma, proprio per questo, è necessario considerarla in tutti i suoi profili, sia umani sia giuridici. E tenendo anche conto che indignazione dell’opinione pubblica e amministrazione della giustizia spesso non coincidono. Il problema riguarda il funzionamento del nostro sistema giudiziario. E riguarda, più in generale, il senso di fiducia nello Stato da parte dei cittadini.
Il problema principale non è se lo Stato assolve o condanna. Ma la credibilità delle sue decisioni.