Napolitano ha ragione: nelle istituzioni più statisti e meno “stadisti”

24 Mag 2013 19:32 - di Mario Landolfi

Stavolta l’accostamento tra politica e pallone non arriva da cabarettisti irriverenti né da riflessioni più o meno puntuali sulla funzione sociale dello sport ma nientepopodimeno che dal capo dello Stato in persona nel corso dell’incontro tenuto al Quirinale con il gotha del calcio alla vigilia della finale di Coppa Italia. Napolitano non si è lasciata sfuggire l’occasione per assestare un paio di colpetti niente male a quei politici che sprigionano nelle istituzioni una faziosità “becera” in tutto e per tutto simile a quella che si respira negli stadi. Il presidente ha parlato ai responsabili dello sport più popolare ma con l’occhio rivolto a ministri e parlamentari dai quali si attende un “terzo tempo” improntato a fair play dove l’avversario non è nemico ma avversario, contro il quale si compete lealmente e soprattutto tenendo bene in mente l’interesse della nazione e non il vantaggio della fazione.
Naturalmente, è impossibile prevedere se l’esortazione quirinalesca troverà politici interessati a raccoglierla. In ogni caso, sarebbe un errore considerarla come un’esternazione di passaggio o come parole in libertà. La qualità della politica non è roba da bon ton ma è materia che investe direttamente il tema delle riforme, della governabilità, del ruolo del Parlamento. Quando Napolitano chiede di accantonare la “becera faziosità” non pensa che deputati e senatori possano cessare dall’oggi al domani di essere espressione di parte. Ci mancherebbe. Il presidente è un totus politicus, la cui biografia è scritta per intero all’interno di un partito. No, quello che egli vuole, anzi per alcuni versi pretende, è che i protagonisti della politica scendano dagli spalti dei tifosi, entrino in campo e giochino una partita dove chiunque vada in goal a vincere siano le istituzioni ed in definitiva il Paese. Per ottenere tutto questo, ammesso che vi si possa riuscire, occorre rimodulare la democrazia dell’alternanza al tempo del tripolarismo e non più di un bipolarismo che l’esplosione dei grillini nelle urne ha praticamente ed irreversibilmente tramortito. Così come occorre rivedere l’intera intelaiatura della nostra governance, a cominciare dal bicameralismo perfetto per finire alla forma di Stato e di governo. A poco meno di settant’anni dal varo della Costituzione, un tagliando alle istituzioni non è solo una possibilità ma un autentico dovere. Il governo sembra intenzionato a non disertare l’appuntamento con le riforme. E paradossalmente l’assetto di “larghe intese” potrebbe più favorirne l’approvazione che scoraggiarne l’avvio. A patto, ovviamente, che si scenda dalle gradinate per indossare la maglietta della nazionale. A patto, cioè, che nelle istituzioni ci siano più statisti e meno “stadisti”.

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