La “strana maggioranza” non dimentichi la cessione del patrimonio immobiliare, che vale 400 miliardi

6 Mag 2013 12:46 - di Silvano Moffa

Il prossimo Consiglio dei ministri si preannuncia carico di novità. Ancora non è chiaro quali e quanti provvedimenti  vedranno la luce. Ma già sui quotidiani  si fa a gara a presentare pacchetti  di   proposte legislative e decreti  su lavoro, economia, pensioni, Imu e via dicendo che, messi insieme, toccano cifre ,in termini di spesa, di elevatissimo importo. Con un debito pubblico che ha superato il 127% del Pil sarebbe illusorio pensare ad un facile percorso. Siamo ancora nel pieno della crisi. La recessione sta fiaccando come non mai la nostra economia. La disoccupazione, soprattutto giovanile, morde terribilmente. Dovremmo far tesoro di quel che, in epoca di crisi, hanno fatto Germania e Stati Uniti. La prima, pur controllando rigorosamente debito  e deficit, è riuscita in quattro anni, dal 2008 al 2012, a crescere del 2,4%, riducendo enormemente la disoccupazione. Più o meno nelle stesse condizioni si trovano Oltreoceano, negli Stati Uniti, dove le politiche di correzione e la incisività della Federal Reserve hanno dato la stura alla ripresa produttiva, ridando fiato alle famiglie indebitate.

Scrutando a fondo nei provvedimenti e nelle azioni di quei governi  appare evidente che lì la questione  non si è posta in termini di “austerità contro crescita”. Da noi, invece, per oltre un anno e mezzo, abbiamo  ceduto  all’idea che bastasse l’austerità per risollevarci. Una semplificazione politica non solo illusoria ma dannosa. I dati attuali, nella loro cruda realtà, ne sono la prova evidente. Detto questo –  e non è poco – c’è da sperare soltanto che il governo, nell’imboccare la strada del risanamento e della crescita della nostra economia, non commetta gli stessi errori.

Ormai la diagnosi  dei nostri malanni dovrebbe essere chiara a tutti. E’ sulla terapia che sembra manchi ancora un punto di approdo certo. Ed è qui che la “strana maggioranza” che sostiene il governo Letta dovrà mostrarsi all’altezza della sfida. Dimostrando, innanzitutto,  una presa di coscienza che faccia centro sul bene comune. Al di là della disputa sull’Imu, tutta ancora in chiave elettorale, fermo restando che si tratta di una tassa iniqua e fin troppo pesante per gli italiani, esistono ancora ambiti inesplorati ove rintracciare risorse; settori che invocano riforme di tenore strutturale che potrebbero aiutare le imprese ad uscire dal tunnel.

Ci limitiamo ad indicarne alcuni. Il primo, assai ricorrente, attiene alla cessione del patrimonio immobiliare pubblico. Se ne è parlato spesso, senza costrutto. Eppure siamo di fronte ad un valore complessivo di beni di circa 400 miliardi di euro, per la gran parte di proprietà delle Regioni e degli enti territoriali. Finora si è fatto ricorso alla istituzione di Fondi ad hoc per la loro cessione, con scarsi o nulli risultati. Si potrebbe invece utilizzare  l’Agenzia del territorio e la Cassa Depositi e Prestiti, al fine di liberare da subito risorse consistenti per consentire ai Comuni di alleggerire l’esposizione sui mutui e ottenere liquidità per nuovi investimenti infrastrutturali. Come? Tramite l’affidamento alla Cassa della titolarità nella vendita, assistita da un soggetto pubblico quale la struttura demaniale dello Stato, a fronte di una immediata anticipazione ai comuni di una percentuale del valore dell’immobile ceduto. E’ utopistico immaginare che questo possa diventare un circuito virtuoso? Certo, se si continua a far ingrassare le banche con fondi di investimento come quelli che finora sono stati realizzati, le speranze di cedere parte del patrimonio pubblico si riducono al lumicino.

Ancora. C’è la storia della previdenza complementare sulla quale più volte, anche in passato, ci siamo soffermati. Oggi vale, al di là di quanto occorra accantonare per garantire la redditività del complesso pensionistico da assicurare a chi ha optato per tale sistema, 100- 120 miliardi di euro. Questa somma viene attualmente,in gran parte, impiegata in fondi esteri. Quegli stessi fondi che alimentano imprese in  concorrenza con  quelle di casa nostra. Vi pare una cosa sensata? Ebbene, nonostante nella passata legislatura, si sia cercato più volte di richiamare l’attenzione su  questo tema,pur essendoci la concreta condivisione dei Fondi privati dei più rilevanti enti  italiani, non si è fatto nulla. Sordi i ministri dell’economia , incerti e supponenti i ministri del lavoro!

Infine. Se si vuole davvero mettere ordine nel caleidoscopio degli incentivi alle aziende, si cominci almeno con il distinguere le imprese che investono nella innovazione e nella qualità del lavoro da quelle che divorano risorse pubbliche per alimentare rendite di posizioni. Sarebbe un primo concreto esempio di come  la politica possa tornare ad essere credibile.

 

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