Il lobbista in Parlamento sull’inchiesta de Le Iene: «La nostra è un’attività lecita, va regolata dalla legge»

21 Mag 2013 14:23 - di Redattore 92

Ha lasciato il segno il servizio de Le Iene in cui è stata denunciata la corruzione di politici da parte di industrie, tra cui anche una del gioco e che ha posto sotto una luce inquietante la figura del lobbista. «Non va demonizzata tutta una categoria che svolge il suo lavoro correttamente, lecitamente, nel rispetto dei ruoli. Il nostro lavoro contribuisce a far conoscere, a migliorare e se possibile a velocizzare l’attività legislativa. Per il resto ci sarà il codice penale e la magistratura  a valutare se vi siano stati, o meno, comportamenti di rilevanza penale».  Vincenzo Mascellaro, da oltre trent’anni comunicatore, lobbista e uomo di relazioni pubbliche per grandi Imprese italiane e americane non ci sta a mettere tutti nello stesso calderone.

Mascellaro, è difficile spiegare il vostro ruolo senza cadere negli stereotipi. In pratica che cosa fate?

«Interveniamo nei confronti degli organi legislativi per modificare una norma, per farla abrogare o crearla ex novo per disciplinare una situazione non normata».

E l’intervento del lobbista in che consiste?

«Supporta le richieste inoltrate al legislatore con studi, ricerche e dati tecnici a conforto di quanto sostiene e dimostrare che gli eventuali provvedimenti migliorativi e modificativi si traducono in benefici per la collettività, in abbattimento di costi sociali e vantaggi per tutti, quindi anche per l’impresa che fa lobby».

Ma ci sono dei signori che anziché il dossier portano la valigetta con i soldi…

«La nostra attività si può svolgere con strumenti e metodi leciti e non, ma questo vale per tutte le professioni. Perché quindi associare necessariamente la professione del lobbista ad attività illecite a al malaffare? Non sarà invece la politica e il suo degrado a evocare tutto questo?»

Adesso anche lei se la prende con la casta?

«No, ma trovo giusto che la nostra attività venga regolarizzata come avviene in altre nazioni.  Il modello più interessante di legge sulla lobby viene dagli Stati Uniti che nel 1946, con il Lobbying act , hanno disciplinato sia l’attività del lobbista che quella del “lobbato”. La legge americana obbliga i due attori alla massima trasparenza dei rispettivi comportamenti e il lobbista deve iscriversi in un apposito registro».

E noi perché non lo facciamo?

«Ci andammo vicino nel 1986. Come delegato dalla Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) partecipai ad una audizione in Commissione Lavoro della Camera che doveva legiferare in tal senso».

Come andò a finire?

«A un certo punto dell’iter legislativo arrivò una lettera aperta al Corriere della sera  dell’allora direttore Generale di Confindustria Paolo Annibaldi, che disse che non c’era bisogno di una legge e che le associazioni di impresa bene assolvono ai compiti di rappresentanza degli interessi. Trent’anni dopo, anche alla luce di questi scandali, sarebbe il caso di tirare fuori dai cassetti quella legge».

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