«Credevo fosse più forte». La confessione dell’ex di Carolina apre inquietanti interrogativi sui sucidi istigati dal web
«È vero, l’ho insultata, ma le avevo chiesto subito scusa. La questione mi sembrava chiusa». La tragedia è che il meccanismo che si innesca sui social network non è così semplice e chiuderla lì, con delle scuse, non basta. Parla per la prima volta, in una intervista a La Stampa, l’ex fidanzatino di Carolina, la quattordicenne che si è tolta la vita lo scorso gennaio. Il giovane, indagato con altri sette per istigazione al suicidio, si difende: «Non immaginavo che sarebbe andata così, lei sembrava una tipa forte». Il giovane respinge l’accusa di avere filmato Carolina a una festa in cui sembra avesse alzato un po’ il gomito: «Io quella sera non c’ero, non so che cosa sia successo». «Credevo fosse una tipa forte», una frase che la dice lunga sul fatto che l’esposizione sui cosiddetti nuovi media, probabilmente, rende tutti più deboli, vulnerabili. Soprattutto loro, gli adolescenti, quei bambini-adulti sulla soglia del mondo che iniziano in questa fase la dura lotta per l’autoaffermazione, che spesso è ricerca affannosa di una sicurezza che solo il tempo può dare, ansia smaniosa di essere accettati, amati, in attesa che le grandi domande che confusamente si affollano nelle testoline trovino risposte convincenti. Si capisce bene come un abbandono, un insulto, una messa alla berlina sul megafono Fb in questa fase equivalga a un giudizio insindacabile che sconquassa la personalità fragile di una ragazza del ’98, che sembra ieri, eppure è l’anno di nascita dichi oggi si trova catapultato in un mondo troppo complicato.
Viene in mente l’interrogativo con cui si chiude il nuovo libro di Evgeny Morozov (To save everyything. Click Here) in cui analizzando gli equivoci nati con lo sviluppo dei new media, lancia un appello: «Prima di chiederci se qualcosa è possibile grazie alla tecnologia, chiediamo se sia giusta o sbagliata per l’umanità». Un quesito che non si può non raccogliere, alla luce della troppe tragedie che si leggono ormai ogni giorno. Lo fa sul nuovo numero di Panorama lo scrittore Marco Cubeddu, autore per Mondadori di “Come una bomba a mano sul cuore”, romanzo di un’ossessione amorosa che si trasforma in una discesa negli inferi. Ed è un po’ quello che ha fatto lui, recandosi in quel di Sant’Agabio, in provincia di Novara, per calarsi nel mondo dove Carolina si è gettata dal balcone di via Tilde del ponte, «brutta zona», dicono i più. «Era bella, tutti i ragazzini la volevano, le ragazze la invidiavano e la chiamavano puttana», racconta una coetanea, animatrice dell’oratorio del quartiere frequentato anche da Carolina.
Tra i più grandi, una coppia d’anziani davanti al bar della scuola Pascal, nessuna pietà: «Ma che non ha visto quelle foto? Era una poco di buono. Mica abbiamo perso una Rita Levi Montalcini». Lo scrittore ha una attimo di sconcerto: parole «indicibili, eppure questa signora l’ha detto. E non è la sola. I messaggi su Fb non si sono fermati al suicidio». Mentre i magistrati indagano su Fb per il mancato controllo sulla pubblicazione dei video, un coetanea ammette. «L’hanno perseguitata». Video foto… A te è mai successo, le chiede? Risposta: «No, cioè, vabbè, dipende. Per esempio, è normale se ti fanno una foto sul cesso, però io non me li farei fare i video…». Interviene un’altra ragazza: «Se si è suicidata solo per questo, io sarei già morta». Il tritacarne va avanti: i genitori della sua amica, di nome Carolina anche lei, raccontano che anche la loro figliola è ricoperta di insulti: «Ucciditi anche tu, brutta lesbica». Nell’inchiesta di Panorama segue un articolo che informa che il cyberbullismo avanza a passo di carica e che nei primi mesi del 2013 le denunce erano il doppio di quelle presentate in tutto il 2012. I magistrati indagano sui video infamanti, sull’iPhon di Carolina -2600 messaggi di insulti in poche ore- che hanno portato ad accuse pesantissime per i presunti colpevoli, dalla diffusione di materiale pedopornografico, alla violenza sessuale di gruppo, alla morte come conseguenza di una altro reato. Qualunque sarà la verità accertata, ci arriva una cartolina drammatica e troppo dolorosa dall’ inferno dei giovani e dei social network che sono la loro Stella polare del bene e del male. L’autore ammette che «il bisogno di condivisione» dell’odio e dell’amore degli adolescenti, risponde a «un imperativo antico», che si serve di modalità nuove e soprattutto sembra non avere freni inibitori. Anche quest’inchiesta si ferma su una domanda: «Quali strumenti critici riusciamo a trasmettere alle nuove generazioni» e, soprattutto «quali sono le strategie di sopravvivenza necessarie in questo mondo». Su tutto, colpisce il titolo di una canzone postata da Carolina 2 in ricordo dell’amica suicida: s’intitola Of monsters and men»…