Adolescenti contro: Carolina sfida i bulli con la sua morte, Davide (gay di 17 anni) si confronta con Venner
Due adolescenti, in contesti diversi, ci interrogano su grosse questioni, distillano dubbi che gli adulti non sono in grado di risolvere, e in qualche modo accusano la società che non dà più risposte certe. Il primo caso è quello di Carolina, che si getta dal terzo piano a 14 anni perché oggetto delle scatenate attenzioni di un gruppetto di cyberbulli. Sei minorenni sono ora sotto inchiesta ma accanto all’indagine che li vuole istigatori di morte ce n’è una ancora più clamorosa e che riguarda facebook, il social network consapevole veicolo del dileggio che ha distrutto un’esistenza acerba e tenera.
Carolina è adesso divenuta il simbolo di tutti gli adolescenti e le adolescenti che chiedono rispetto, un uso più cauto delle parole, l’utilizzo non corrosivo dei video, un freno all’istinto di vendetta che sfrutta l’infame logica del branco. In uno dei suoi disperati biglietti (che gli adulti, come sempre, hanno letto troppo tardi) aveva scritto: “Spero che adesso siate un po’ più sensibili sulle parole…”. E non è curiosa una società dove le iperboliche frasi della politica sono soppesate, radiografate e commentate mentre ai piani bassi gli under 18 si dicono di tutto, si fanno di tutto e là dove sembra ormai essersi spostato il luogo vero della realtà e della verità, cioè sulla rete? E non più alla cultura come insieme di valori dovremo dunque affidarci ma alle regole della cultura digitale per tutelare la fragilità psichica di poco più che bambini che nel mondo virtuale feriscono e vengono feriti. E anche adesso il dolore, la rabbia, l’indignazione si riversano nella rete: un ruscello di pensieri cui fa da contrasto la muta rassegnazione della madre di Carolina.
Perché le famiglie sono anch’esse vittime del trasferimento della vita vera dalle mura domestiche ai social media. La trasparenza del web nasconde segreti e violenze che madri e padri ignorano. E le famiglie si ritraggono, diventano indifferenti, silenziose e complici mentre il web fagocita le loro creature.
Le famiglie che Dominique Venner voleva difendere. La famiglia che per Dominique Venner era l’ultimo baluardo di una civiltà fondata su regole certe, stabili, le sole capaci di generare sviluppo spirituale. Il secondo caso dell’adolescente cui si accennava all’inizio è quello di Davide Tancredi che scrive a Repubblica dopo il suicidio di Notre Dame. Si definisce un gay di 17 anni (e per avere quell’età, diciamolo, se la cava molto bene, forse troppo, con le parole). Lui invoca: prendetevi cura della mia situazione. Non condannatemi. Chiedo solo di esistere. “Io sono gay – scrive – ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta sebbene io sia nato così… Noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce, siamo solo sfortunati partecipi di un destino volubile”. E chi potrebbe negare uno sguardo solidale a questo diciassettenne? Chi non vorrebbe evitare di dirgli che nessuna norma di legge renderebbe più solare e più facile il suo “destino volubile”? Lo stesso Venner, probabilmente, nutrirebbe per questo ragazzino empatica comprensione. Leggere infatti il suo gesto solo come un’eclatante protesta contro i matrimoni gay è riduttivo e già in tanti l’hanno scritto. Venner, come tutti gli storici che sanno fare storia, era capace di assumere una prospettiva che trascende i singoli individui e i loro drammi, per tenere d’occhio l’intero ciclo di una civiltà. Venner era interessato alla civiltà europea. Un punto di vista che forse trascura i turbamenti di un diciassettenne ma che non è meno legittimo né meno degno di attenzione. Da un lato si erge l’opposizione allo spengleriano tramonto dell’Occidente. Dall’altro l’invocazione al rispetto del diritto individuale alla felicità nella tolleranza. Ma un uomo di 80 anni e un adolescente di 17 anni non dovrebbero dialogare a distanza tra loro senza filtri. In mezzo dovrebbe esserci il filtro di una società, di una politica, di un’etica e non il caos dove cozzano tra loro, senza mai incontrarsi, opinioni diverse e contrastanti. La scommessa per tutti è quella di riuscire a far convivere le idee di Venner con le ansie di un gay di 17 anni. E lo si può fare solo se si eliminano dal campo i rigurgiti ideologici. L’Europa, la grande Europa per la quale Venner si è ucciso, in fondo non fu altro che sintesi e sedimentazione di idee e culture contrastanti.