Ma se Berlusconi rifà Forza Italia, noi che facciamo?

6 Apr 2013 16:26 - di Mario Landolfi

Ma se Berlusconi rifà Forza Italia, noi che facciamo? Ovviamente, noi che veniamo da Alleanza Nazionale, partito che di questa testata è stato editore fino al giorno in cui è nato il Pdl, la formazione nella quale tuttora militiamo anche se – diciamocelo in tutta intimità – in una condizione di sempre più evidente e crescente marginalizzazione. Penso sia giusto partire proprio da questo dato di consapevolezza senza più cedere alla tentazione di allontanarla come un insetto molesto o di nascondere la testa sotto la sabbia. Del resto, è quello che abbiamo fatto finora e non ci siamo perciò accorti del nostro incalzante status di figli di un dio minore né dell’inesorabile processo di erosione della nostra area, culminato nella decimazione della rappresentanza parlamentare alle ultime elezioni politiche. Sia sufficiente guardare il settore destro di Montecitorio desolatamente vuoto come non mai per rendersene conto. È un processo tuttora in atto, come dimostrano i ricorrenti e nient’affatto casuali riferimenti del Cavaliere a Forza Italia. L’ultimo in ordine di tempo lo potete leggere nell’annuncio della manifestazione di sabato prossimo a Bari. Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che questo ritorno alle origini sia ascrivibile alla sola diffidenza ormai prepotentemente maturata nell’ex-premier verso il nome del Popolo della Libertà ed il suo acronimo Pdl. Berlusconi è un pragmatico e non perderebbe neanche un minuto dietro una questione del genere se non ne avesse calcolato al millesimo annessi e connessi. Nè si può sostenere che egli abbia dolosamente progettato l’eliminazione tout court di un’intera area culturale, dopo averla effettivamente privata di quell’adeguata quantità umana che è presupposto irrinunciabile per garantire una significativa sopravvivenza di un’identità politica. Sarebbe stato rischioso in termini di voti, per quanto Berlusconi sappia più di ogni altro che l’elettorato si posiziona sempre meno volentieri lungo le classiche traiettorie destra-sinistra e che in ogni caso il suo anticomunismo old style funziona ancora alla grande per quelle quote di elettorato rimaste (giustamente) sensibili al richiamo del “pericolo rosso”. La verità è in realtà molto più prosaica ed ha a che fare con le foschissime previsioni della vigilia, che davano per ormai affondato il PdL. Di fronte alla prospettiva, pressoché certa, del naufragio, a bordo delle scialuppe di salvataggio sono stati imbarcati i soli passeggeri di prima classe, cioè gli ex Forza Italia in compagnia di una decina di ex An. Tutti gli altri sono stati lasciati in mare. Un po’, si parva licet…, come accadde durante la disastrosa campagna di Russia nel secondo conflitto mondiale, quando agli italiani che cercavano scampo aggrappandosi alle sponde dei camion tedeschi in ritirata i nazisti spaccavano le dita con il calcio del fucile. Altro che retorica da camerata Richard! Comunque sia, mentre è perfettamente leggibile che l’operazione in corso è avviata a costruire un partito esclusivamente personale, basato sul rapporto carismatico del capo con il suo popolo senza alcuna mediazione dell’elite interna, risulta assai vaga, per non dire confusa, l’individuazione di una via d’uscita per la destra da una prospettiva che potrebbe rivelarsi letale per chiunque aspiri a ricostruire una trama politica che oltre alla leadership si sostanzi anche di luoghi della partecipazione e di selezione della classe dirigente. Paradossalmente, un’area che ha resistito al più duro e duraturo assedio politico mai subito da un partito riuscendo non solo a spezzarlo ma addirittura a vincere la sfida della piena legittimazione e del governo, rischia ora di sciogliersi sotto il probabile “effetto setta” che sembra sprigionare il nuovo-vecchio movimento berlusconiano. Sia chiaro, la destra paga soprattutto i suoi errori, tra i quali non va però annoverato il PdL che resta un progetto di grande valore e respiro strategico. Abbiamo sbagliato noi, che ne siamo stati a lungo dirigenti, a non attrezzarci ad “essere destra” al tempo della globalizzazione così, di fatto, abdicando rispetto a temi come sovranità e crisi dello Stato nazionale, primato della politica e ruolo dei poteri irresponsabili, identità nazionale ed integrazione europea, su cui si stanno lanciando con successo movimenti assolutamente privi di radici culturali. Abbiamo scelto di accontentarci dei soliti surrogati e di quel che passava il convento del nostro principale alleato. Dovevamo contaminarci e contagiarci vicendevolmente e invece siamo rimasti ingabbiati nella logica delle quote, come se la politica fosse una banca o una società per azioni. Che fare, dunque? Il primo obiettivo consiste nel non lasciar morire di tatticismo, di politicismo o, peggio, di tornacontismo il centrodestra. Quel che resta della destra nelle istituzioni farebbe bene a scommettere ancora sul progetto unitario riprendendone le motivazioni originarie che nel corso di tre lustri sono riuscite a rendere dominanti le culture rimaste escluse o soccombenti durante la Prima Repubblica: la cultura nazionale, liberale, cattolico liberale, socialista autonomista. Tutte ancora vitali ed in grado di dare risposte ai problemi dei tempi nuovi. Tornare indietro è suicida. Non solo per la destra, ma per l’intero schieramento. Non avrebbe senso azzerare un percorso in nome dell’irrealizzabile pretesa di trovare tutto come prima: lo spirito del ’94, la spinta della Lega al nord, il valore del riscatto nel voto alla destra al Sud. Del resto, è difficile “trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Nella storia, recente e remota, l’heri dicebamus non ha mai funzionato e la politica, che della storia è il lievito, non conosce parentesi ma solo spazi vuoti da riempire. È una lezione, questa, che l’imprenditore Berlusconi, la cui intensa esperienza privata ne esalta più di ogni altra la capacità di visione e di anticipatore del nuovo, può impartire a chiunque. Probabilmente, occorrerà che la ricordi anche al suo gemello politico e statista prima che questa assurda corsa all’indietro, condotta anche in suo nome o con il suo implicito avallo, finisca per offuscare irreversibilmente un progetto politico suscitatore di grandi entusiasmi, forti passioni e profonde speranze.

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