La inevitabile decomposizione del Pd. La “bomba” Renzi sta esplodendo
Il Partito democratico si sta decomponendo. Difficilmente, dopo l’elezione del capo dello Stato, assomiglierà a quello che abbiamo conosciuto. Lo scontro, soltanto sopito durante i mesi della campagna elettorale, tra Bersani e Renzi , è destinato a far deflagrare il partito. L’ultima scintilla (l’esclusione del sindaco di Firenze dalla delegazione del “grandi elettori” della Regione Toscana) sarà quella che appiccherà l’incendio. E’ il sintomo di una impossibile convivenza non solo tra i “duellanti”, ma tra due anime del Pd che sono entrate in rotta di collisione.
Nell’ultimo mese abbiamo registrato almeno tre prese di posizione del “rottamatore” più che significative sulle quali il vertice del democrat ha sempre steso un velo pietoso per non acuire dissensi che sarebbero divenuti veri e propri antagonismi con il passare delle settimane. Agli inizi di marzo Renzi diceva: “Non è il mio turno. Rientro in partita con le primarie”, giuà paventando, a meno di dieci giorni dalle elezioni, un’altra inevitabile contesa in vista di elezioni ravvicinatissime. Tre giorni dopo, sul tentativo di Bersani che già prendeva calci in faccia dai grillini, interveniva fingendo di incoraggiare il segretario purché i parlamenteri del M5S “non siano i nostri Scilipoti”. L’11 marzo, la prima micidiale “bomba” contro il partito nel suo insieme: la richiesta perentoria di avviare uno studio sugli sprechi del Pd, con il che metteva sotto accusa la nomenklatura di Largo del Nazareno, senza troppi giri di parole. Intanto l’insofferenza cresceva. E si faceva evidente quando Renzi, come un “berlusconiano” qualsiasi, affermava: “Ora patto con il Pdl oppure alle urne; Bersani si è fatto umiliare dagli arroganti M5S”. Ma non era ancora abbastanza. Ieri è sbottato definitivamente accusando la segreteria del partito – con la generica, ma non velata allusione alla “telefonata partita da Roma” – di non averlo voluto tra coloro che dovranno procedere alla elezione del successore di Napolitano.
E’ guerra aperta che non coinvolge due persone soltanto, naturalmente. Ma due schieramenti all’interno dello stesso partito. E tra i quali c’è ormai incomunicabilità assoluta e perfino inimicizia conclamata. In realtà si contrappongono due visioni del partito e della democrazia. Quello di Renzi si mostra aperto ed ostile ad ogni chiusura nei confronti degli avversari. Quello di Bersani, chiuso, diffidente e refrattario nei confronti di chi è pure stato suffragato da milioni di italiani e che nella presente sitiuazione è la sola “sponda” possibile per un “governo di scopo” finalizzato cioè alla riforma della legge elettorale per poi tornare al voto.
Lo stesso Renzi, credo si renda conto, che alla prospettiva delle elezioni anticipate non ci si può sottrarre. Il problema è quando. Un governo di “larghe intese” al quale si crede sempre di meno tanto nel Pd che nel Pdl, con ministri dell’uno e dell’altro partito (sarebbe un pateracchio sconcio ed inguardabile), che possa durare per un tempo consistente, come qualcuno pure immagina, non è possibile. E non staremo qui a spiegarne i motivi ben noti.
Tuttavia assumere una linea di condotta dialogante, non soltanto sui “criteri” ( la cosa fa ridere) per eleggere il capo dello Stato, ma in vista di dare assetti appena appena normali alla politica è indispensabile. E questo a Renzi sembra stare più a cuore che a Bersani che con il suo massimalismo – appena mitigato dalle uscite di Franceschini, Bindi e Speranza che hanno “aperto” in qualche modo al Pdl in funzione antirenziana appunto – sembra aver chiuso qualsiasi promessa di trattativa e di accordo.
Insomma, nel Pd si sa che le elezioni potrebbero essere un “bagno”. Se invece Renzi riuscisse ad invertire la rotta, significherebbe che l’altra metà del partito verrebbe tagliata fuori e non le resterebbe che abbandonare la nave per fare una Cosa di sinistra con Vendola ed altri compagni di viaggio.
Finirà così? Tutto lo lascia ritenere.