La Convenzione? Meglio l’Assemblea costituente per una nuova democrazia partecipativa

30 Apr 2013 9:26 - di Gennaro Malgieri

Enrico Letta, nel suo discorso programmatico, ha annunciato il varo di una Convenzione per le riforme istituzionali. Non è un’idea nuova. Era stata partorita mesi fa dal Pd e, per la precisione, elaborata da Luciano Violante. Diciamo subito che ci convince poco, per quanto “legittimata”, se non andiamo errati, anche dal comitato dei “saggi” voluto dal presidente della Repubblica. Sa di vecchio fin dalla denominazione. E la sua struttura, da quel che si capisce, dovrebbe riproporre lo schema di una delle tante  Commissioni bicamerali, istituite allo scopo e regolarmente fallite. Da esse si distinguerebbe per la presenza di personalità della cosiddetta “società civile” la cui scelta, inevitabilmente, verrebbe fatta, immaginiamo proporzionalmente, dai partiti politici. Qualcosa in più della solita Bicamerale, insomma, ma molto meno di una più appropriata Assemblea costituente che sarebbe l’organismo adatto, in uno “stato d’eccezione”, per riscrivere la Costituzione con il concorso di tutto il popolo italiano che, sulla base delle indicazioni fornite dalle forze politiche, eleggerebbe i propri rappresentanti deputati ad uno scopo preciso che non verrebbe inficiato dalle logiche parlamentari le cui prevedibili e fisiologiche tensioni si scaricherebbero invece su una Convenzione non certo al riparo dalla ordinaria dialettica politica.

Temiamo, oltretutto, che un organismo avente le stesse caratteristiche di una Bicamerale ed una composizione molto eterogenea – partiti, sindacati, rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, e chi più ne ha più ne metta – non vada molto lontano. Oltretutto occorrerebbero, se tutto filasse liscio, almeno due anni (o forse soltanto diciotto mesi secondo le ottimistiche previsioni di Letta) per conseguire qualche apprezzabile risultato. La legislatura può verosimilmente durare tanto? Ce lo chiediamo realisticamente, pur agurandole vita lunga e proficua. Razionalmente, però, non si può disconoscere che il solo iter parlamentare per istituire la Convenzione porterebbe via non meno di tre mesi mesi, mentre è difficile ritenere che soggetti tanto diversi possano trovare un accordo in assenza di un documento di discussione a meno che non facciano riferimento ai lavori dei “saggi” ed alla bozza  elaborata proprio da Violante nella Quindicesima legislatura. Un po’ poco, oggettivamente.

E ancora. È un buon sistema quello di procedere all’ “invenzione” di organismi non elettivi, ma nominati (poiché di questo si tratta), dunque non rappresentativi del popolo, ma solo delle categorie, delle lobbies, dei centri di potere e di istituzioni portatrici di istanze particolari? Crediamo di no. E dopo il fallimento delle diverse Bicamerali, che pure erano espressioni di Parlamenti eletti dai cittadini, bisognerebbe diffidare da comitati o commissioni che per definizione hanno connotazioni esplicitamente oligarchiche che, inevitabilmente, nel loro lavoro interferirebbero con quello parlamentare. Un esempio: quando si dovesse arrivare, per ipotesi, a discutere di giustizia, con le Camere impegnate a definire aspetti particolari della complessa materia, la Convenzione che cosa farebbe? Bloccherebbe i suoi lavori, si asterrebbe, attenderebbe la definizione parlamentare per poi magari rigettarla?

Il Pdl, in coerenza con il suo riformismo, avrebbe potuto (ma non lo ha fatto) rilanciare la vecchia idea dell’Assemblea costituente, considerando anche il non trascurabile particolare che in Parlamento, da molte legislature, giacciono proposte di legge costituzionale in merito. Sarebbe l’ora di spolverarle, se non altro per vedere quanto c’è di strumentale e quanto di sincero nell’iniziativa che, ribadiamo, porta il marchio del Pd.

Per quale motivo la vasta materia costituzionale da sottoporre a riforma – dal bicameralismo alla diminuzione del parlamentari, dal semi-presidenzialismo alla ridefinizione dei rapporti tra i poteri dello Stato –  non dovrebbe essere esaminata da una Assemblea eletta direttamente dal popolo con sistema proporzionale ed i suoi  risultati sottoposti infine ad un referendum confermativo? Ci sembra questa la strada maestra. Ed è pertanto inutile cercare scorciatoie destinate ad alimentare diffidenze, oltre ad escludere i cittadini dai processi decisionali che li riguardano.

Una nuova democrazia partecipativa e decidente dovrebbe cominciare dalla definizione delle regole, individuando chi le definisce ed i meccanismi che le attuano. Diversamente si resta rinchiusi nelle gabbie partitocratiche che possono anche apparire politicamente confortevoli se le si abbellisce chimandole “Convenzione”, termine e concetto che a noi suonano oltretutto sinistri rimandandoci alla luttuosa stagione  giacobina che ancora ci fa venire i brividi.

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