Fabrizio Saccomanni, il banchiere che scrive poesie

27 Apr 2013 19:00 - di Antonio Pannullo

Il bocconiano Fabrizio Saccomanni, oltre a essere un nome esterno alla politica, è quello di un personaggio certamente sui generis. Oddio, esterno alla politica fino a un certo punto, perché all’università faceva parte – attivamente – dell’Unione Goliardica Italiana, laboratorio degli studenti laici liberaldemocratici. Romano, ma non lo sembra: infatti ha studiato alla Bocconi e ha vissuto sempre a Milano. È stato chiamato da Enrico Letta e ricoprire l’importante incarico di ministro dell’Economia, più di un ministero-chiave, addirittura fondamentale in questo momento. E non ci sono dubbi che i numero ce l’abbia tutti. Se qualche apprensione ce la desta il fatto che abbia studiato al liceo classico Mamiani di Roma e l’ancor più preoccupante fatto che gli piacessero gli articoli di Eugenio Scalfari sull’Espresso, dall’altra parte ci rassicura che la sua tesi di laurea, nel 1966, avesse come titolo I limiti alla pressione fiscale. Che abbia i numeri lo dimostra il fatto che appena laureato ricevette centinaia di proposte di lavoro, d’accordo erano altri tempi, ma ancora più che il presidente Giorgio Napolitano abbia recentemente sottolineato la sua dedizione assoluta alla professione e la sua alta competenza. Comunque, vinse il concorso alla Banca d’Italia, dove entrò nel 1967, e da allora non si è ancora fermato. Nel suo nutrito palmares, va segnalato senza dubbio il suo ruolo di vice presidente alla Bers, Banca europea di ricostruzione e sviluppo, dal 2003 al 2006. E proprio nel 2006 diventa direttore generale della Banca d’Italia, carica nella quale viene riconfermato nel luglio dello sessoanno. E oggi la nomina a ministro dell’Economia. Sì, qualche amarezza per non essere stato nominato governatore di Bankitalia, ma lui stesso preferisce non parlare di questo argomento e quindi glissiamo. È un convinto assertore della necessità di ancorarsi all’Europa, sulla linea di pensiero di Andreatta; e, forse come Andreatta, Saccomanni non nasconde di essere attratto dalla politica con spirito di servizio, prova ne sia che ha accettato il ruolo di ministro del governo Letta. Sintomatico il titolo del libro da lui puscritto nel 2002, Tigri globali, domatori nazionali, in cui sostiene, a differenza di Ronald Reagan, che il mercato globale da solo non si autoregola, ma deve intervenire sempre l’autorità di uno Stato per stabilizzare il sistema, di qui forse il suo interesse per la politica attiva, quella che cambia le cose davvero. Per concludere, diremo che Saccomanni è un grande lettore, musicofilo e cinefilo. Insospettatamente, ha scritto e – si dice – recitato poesie in romanesco e in prosa. Strano, se si pensa che la sua opera preferita è I Buddenbrook, di Thomas Mann. Ma consolante: come sa coniugare Pascarella e Trilussa con il gigante tedesco, così saprà conciliare la riduzione degli squilibri globali col disavanzo del debito pubblico…

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