Cipro blinda i conti correnti. Ora il contagio può mettere nei guai la Slovenia
Cipro prova a tornare alla normalità. Ieri le banche, in seguito all’accordo sul piano di salvataggio concordato da Nicosia e dall’Ue, hanno riaperto dopo un blocco di 12 giorni ma i risparmiatori devono fare i conti con misure restrittive sui movimenti di capitale. Le restrizioni, così come vuole l’Ue, dureranno almeno un mese e saranno tolte gradualmente. I prelievi giornalieri non potranno superare un massimo di 300 euro e chi si reca all’estero non potrà portare con sé più di mille euro in contanti pena il sequestro del denaro in più. Misure che arrivano però troppo tardi, quando molti soldi depositati nelle banche dell’isola hanno preso il largo per via elettronica già da mesi. A febbraio infatti i depositi negli istituti di credito ciprioti sono calati di quasi un miliardo di euro. Secondo alcuni osservatori le misure restrittive potrebbero rivelarsi un disastro per le banche di Cipro e condurre alla prossima uscita dall’euro anche se oggi il presidente Nicos Anastasiades ha dichiarato che l’isola non ha alcuna intenzione di lasciare la moneta unica e che la crisi “è stata contenuta”.
Dopo Cipro, potrebbe toccare alla Slovenia dover gestire un sistema bancario sull’orlo del precipizio, la fuga degli investitori e chiedere aiuto all’Europa. Il ‘borsino’ su chi sia il prossimo membro (il sesto) dell’Eurozona a dover ricevere un salvataggio, fra i vari candidati (c’è chi azzarda Malta, chi il Lussemburgo, chi guarda a Spagna e Italia) sembra puntare su Lubiana: capitale di uno stato piccolo, proprio come Cipro, con un sistema bancario sovraesposto ai venti di crisi. Sono espliciti gli analisti come Timothy Ash, di Standard Bank: “sembra sempre più probabile che al Paese servirà un salvataggio”. Gillian Edgeworth, di Unicredit, spiega che “gli sviluppi a Cipro hanno creato preoccupazione per l’accesso della Slovenia al mercato degli eurobond nei prossimi mesi, mentre il paese cerca di ricapitalizzare le banche” e sciogliere il legame incestuoso banche-Stato che vede le prime (spesso sovraesposte proprio verso aziende a controllo pubblico) comprare titoli di Stato, per poi essere salvate proprio dall’erario. Il primo ministro Alenka Bratusek, in carica da appena una settimana, ieri nel suo primo rilevante intervento pubblico ha detto al Parlamento che il suo esecutivo risanerà le banche e il bilancio pubblico “in cattive condizioni”. E ha promesso: “la Slovenia non avrà bisogno di aiuti, possiamo farcela da soli”, precisando che “i depositi bancari sono al sicuro, garantiti dal governo”.
Il quadro dell’economia slovena sembra un deja vu: l’economia è in recessione e il debito pubblico è in rapida ascesa, atteso al 60% del Pil quest’anno. Ma gli investitori vogliono soprattutto dettagli su come la Bratusek farà fronte alla crisi delle banche. Le stime attestano a quattro miliardi l’entità del probabile piano di ristrutturazione bancario, fra ricapitalizzazione degli istituti e creazione di una bank cui conferire i prestiti incagliati. Si pensa a un piano da quattro miliardi da reperire sui mercati internazionali, anche negli Usa dove l’ultima emissione slovena, 2,25 miliardi di dollari, risale allo sorso ottobre.