Renzi e Franceschini, fronda pro-Monti nel Pd
Renzo e Dario, un pranzo a Firenze per rompere le uova nel paniere di Bersani. Tra un piatto e l’altro, sul menù c’è stato il top secret, il sindaco del capoluogo toscano e il capogruppo del Pd alla Camera hanno parlato a quattr’occhi. Ufficialmente per ammazzare il tempo («a Firenze si mangia bene, quasi come a Ferrara», ha poi scritto Franceschini su Twitter), ma in realtà per concordare uno sgambetto a Bersani, che ha sterzato a sinistra strizzando l’occhio a Vendola e alla Cgil, così da dare un dispiacere a Monti. Il tutto in un momento in cui la classe dirigente post-comunista è chianata a farsi perdonare lo scandalo Montepaschi. Ci sarà pure l’accordo per il dopo-elezioni, ma adesso tra montiani e diessini è guerra aperta, anche se molti la ritengono fasulla e tesa solo a conquistare i voti dei malpancisti. Occorre quindi frenare un po’, correre ai ripari, fare da elastico e – in prospettiva – evitare una deriva a sinistra. Renzi e Franceschini hanno risposto all’appello, rimboccandosi le maniche. Non potevano essere che loro, uniti da un passato più o meno simile. Il buon Matteo – messo sulla graticola dalla nomenklatura del partito nel rush finale delle primarie – è l’uomo giusto per controbilanciare il flirt di Bersani con la Cgil. Basti pensare che, se fosse stato un operaio della Fiat di Pomigliano, avrebbe votato a favore dell’intesa voluta da Marchionne. Un colpo durissimo per la Fiom che quell’accordo lo contestò. In più Renzi è stato coordinatore fiorentino della Margherita, quindi ha lo stesso dna di Franceschini. Che della Margherita è stato uno dei fondatori, nostalgico della sinistra democristiana, devoto a Benigno Zaccagnini. Nel Pd ha dato vita alla corrente “Area demoratica” con Serracchiani, D’Antoni, Marini e Antonello Soru. Ex-margheritini entrambi, rottamatore uno, non rottamatore l’altro, ma nell’intimo democristiani. Pronti alla fronda anti-Bersani, in un ristorante di Firenze. Dove non era possibile aggiungere un posto a tavola.