Lo Stato non paga e le imprese chiudono: sei mesi e mezzo per saldare una fattura
Da una parte l’aumento delle tasse, dall’altra i ritardati pagamenti della pubblica amministrazione: le imprese italiane sono alla canna del gas e chiudono al ritmo di mille al giorno. La crisi picchia duro: credit crunch e consumi in picchiata impediscono alle nuove iniziative imprenditoriali di decollare e tolgono l’ossigeno a quelle già consolidate sul mercato. Di credito agevolato neppure l’ombra. Anzi, di più. Il sistema pubblico è sempre più lento nel pagare le imprese fornitrici di beni per la Pubblica amministrazione. Ai richiami della Ue si risponde accentuando la lentezza dei rimborsi. Secondo un rapporto di Confartigianato nel 2012 il tempo medio è salito a 193 giorni, con un aumento di 54 giorni rispetto all’anno precedente. Sei mesi e mezzo per saldare una fattura sono davvero troppi, soprattutto rispetto ai 30 giorni previsti dalla nuova legge e allo stesso periodo di tempo indicato dalle autorità di Bruxelles. Soffrono in maniera particolare le medie e piccole imprese che, in questo modo, sono chiamati a farsi carico di costi accessori per 2,5 miliardi l’anno, originati dai maggiori oneri finanziari che provocano mancanza di liquidità. Con questa situazione alle spalle non è un mistero per nessuno che il patrimonio imprenditoriale italiano si stia impoverendo. Nel 2012 sono nate soltanto 383.883 imprese (il valore più basso degli ultimi otto anni) con una flessione di 7.427 unità rispetto all’anno precedente. Per contro le attività imprenditoriali che hanno chiuso i battenti sono state 364.972, con un incremento di 24mila unità nei confronti del 2011. Numeri che spiegano solo in parte l’emergere di un problema che rischia di essere mortale per un Paese dove le medie e piccole imprese costituiscono il motore dell’intero settore produttivo. Infatti, considerando anche la cancellazioni delle aziende ormai non più operative, lo stock imprenditoriale complessivo scende a poco più di sei milioni di imprese, con la perdita di 6.500 aziende manifatturiere, 20mila unità di artigianato, 7.500 aziende operanti nelle costruzioni e 17mila in agricoltura. Una realtà che chiama in causa le politiche di sostegno alle imprese varate (o meglio non varate) dal governo dei tecnici. La riforma del mercato del lavoro ha suscitato attese, ma poi si è tradotta in un fiasco, il nuovo fisco non è arrivato, il costo del lavoro è rimasto alto, le liberalizzazioni si sono fatte attendere, i monopoli hanno continuato a prosperare e il credito a scarseggiare. In questa situazione, qualcuno ha continuato a produrre, ma altri hanno alzato bandiera bianca. E ne ha beneficiato solo la disoccupazione.