Fini: «I nostri eletti non cambieranno casacca». Il Pdl: «Senti chi parla…»
In campagna elettorale si sa, si dice di tutto. Ma fino a un certo punto. Gianfranco Fini intervistato dal Gr Rai Parlamento ha dato il “grande” annuncio: coloro che saranno «candidati nelle liste di Udc, Fli e la lista di Monti, firmeranno l’impegno a non cambiare casacca». È quel «cambiare casacca» che scatena le reazioni del Pdl, dal senti chi parla al da che pulpito. «Ma il Fini che oggi chiede l’impegno di tutti a non cambiare casacca – ha ironizzato Pietro Laffranco – è lo stesso che, eletto presidente della Camera nelle fila del Pdl, ha lasciato il suo movimento, fondando un altro partito e continuando a stare seduto sullo scranno più alto di Montecitorio? Evidentemente ha la memoria corta, ma gliela faranno tornare gli italiani con la batosta che gli daranno alle urne». Su Twitter Maurizio Lupi ha scritto: «Clamoroso!!! Fini ai suoi candidati: “firmate un documento per non cambiare casacca”. Da che pulpito viene la predica». Dura Daniela Santanché: «Fini è senza vergogna, in vita sua ha cambiato così tante casacche che non basterebbe un guardaroba per contenerle». Ma non solo. «Fini soffre di amnesia oppure si tratta di professionismo della politica», ha detto Deborah Bergamini. «Un impegno del genere preso da lui dopo il trattamento che ha riservato al Pdl e che ha previsto tradimento degli elettori, conseguente nascita di un partito antagonista al Pdl e al centrodestra e per finire caduta del governo, non può che suscitare un sorriso». Anche per Maurizio Bianconi, «predica bene e razzola male». E, infine, Giuseppe Moles: «Se non fosse triste sarebbe quasi divertente. Ma credo che questa volta il senso del ridicolo sia stato superato. Sembra quasi il vecchio adagio del bue che dà del cornuto all’asino. In più – si è chiesto – non mi è chiaro se, visto che la casacca la indossano i fantini che montano cavalli e non asini, quelli che cavalcano Fini sono fantini? Altro fulgido esempio di super partes da parte della, ancora per poco, terza carica dello Stato».