Studentessa di 17anni si dà fuoco in Tibet

11 Dic 2012 0:01 - di Sandro Forte

Una ragazza di 17 anni, tibetana, si è auto-immolata a Dokarmo, nell’area di Tsekhig (Zeku in cinese) della contea di Malho (Prefettura autonoma tibetana nella provincia cinese occidentale del Qinghai). Con questa le immolazioni salgono a 81 dal primo gennaio scorso e 95 dal febbraio 2009, da quando sono cominciate. Bhenchen Kyi, questo il nome della studentessa, secondo quanto hanno riferito fonti della dissidenza tibetana in India, si è data fuoco intorno alle 20 di domenica sera, urlando slogan contro l’occupazione cinese del Tibet e chiedendo il ritorno del Dalai Lama. La ragazza è morta poco dopo a causa delle ustioni riportate. Circa duemila tibetani si sono raccolti subito dopo nella zona dell’auto-immolazione per impedire alle autorità cinesi di prendere il corpo della ragazza, che è stato poi cremato nella notte. Pochi giorni prima del suo gesto, la giovane aveva rivelato ad alcuni suoi compagni di scuola l’intenzione di sacrificarsi per la causa tibetana. Aveva detto ai suoi compagni di non volere che il suo corpo cadesse nelle mani delle autorità cinesi e che si sarebbe auto-immolata in una zona di nomadi e non nel centro di una città proprio per evitare che la polizia potesse prenderla dopo la morte, desiderando invece che fossero i genitori ad avere cura dei suoi resti. L’auto-immolazione di Bhenchen Kyi è avvenuta alla vigilia del Giorno della solidarietà globale, celebrato ieri dal governo tibetano in esilio nel nord dell’India in concomitanza con la Giornata dei diritti umani.
«Ottantuno auto-immolazioni in meno di un anno! Questi atti eroici – ha commentato Toni Brandi, presidente della Laogai Research Foundation Italia Onlus – mostrano la determinazione del popolo tibetano nella sua lotta per la libertà e l’indipendenza della propria nazione. La persecuzione religiosa, le gravi violazioni dei diritti umani, le esecuzioni capitali, le sterilizzazioni e gli aborti forzati e la distruzione sistematica degli edifici religiosi e storici da parte delle autorità comuniste cinesi non sono riusciti a soffocare la volontà del popolo tibetano di resistere alla distruzione della propria identità nazionale. Il Tibet – ha ricordato Brandi – ha 2000 anni di storia durante i quali ha subito qualche influenza straniera solo per brevi periodi. I tibetani sono di razza, cultura, religione e lingua diverse dai cinesi. Si tratta indubbiamente di un Paese indipendente sotto una occupazione illegale. È semplicemente assordante e vergognoso il silenzio dei grandi media su questa tragedia e tutto ciò per non danneggiare i traffici internazionali che producono profitti sulla pelle e sul sangue di popoli come i cinesi, i tibetani, gli uighuri, i karen e tanti altri».
Secondo quanto riportato dall’agenzia Nuova Cina, la polizia del governo di Pechino ha arrestato due persone, un monaco e suo nipote, con l’accusa di aver incitato alcuni attivisti a auto-immolarsi. Lorang Konchok, monaco di 40 anni del monastero di Kirti (uno dei più importanti del buddismo tibetano e al centro di focolai di proteste contro il controllo cinese del Tibet) nella contea di Aba (Ngaba per i tibetani) nella provincia meridionale del Sichuan, è stato arrestato con l’accusa di aver spinto otto persone ad auto-immolarsi dal febbraio 2009, da quando sono cominciate questo tipo di proteste. Tre sono morte. Dall’inizio dell’anno, come si è detto, sono stati ottantuno gli attivisti tibetani che si sono dati fuoco, il primo il monaco di Kirti, Tapey. Secondo le autorità citate da Nuova Cina, Lorang Konchok avrebbe agito «su istruzione del Dalai Lama e dei suoi seguaci», come avrebbe lui stesso confessato alla polizia. Lorang avrebbe usato la sua influenza per incoraggiare altri monaci a auto-immolarsi, avrebbe detto che le immolazioni non sono contro la dottrina buddista e che gli immolati sono degli eroi. Per questa opera di convincimento avrebbe reclutato anche suo nipote Lorant Tesring, di 31 anni. In un comunicato la polizia di Aba ha affermato che i due registravano tutte le informazioni sulle persone “reclutate”, comprese fotografie scattate durante le immolazioni, e passavano queste informazioni ai tibetani in India, dove si trovano il governo tibetano in esilio e il Dalai Lama. Per la polizia sarebbero stati molti di più gli attivisti convinti dai due a auto-immolarsi, se le famiglie e la polizia non fossero intervenuti. Due, infatti, sarebbero fuggiti in un’altra città per evitare le pressioni di zio e nipote. I due Lorang sono stati arrestati già ad agosto, ma solo pochi giornifa è stata diffusa la notizia. La settimana scorsa le autorità comuniste hanno ribadito che perseguiranno con l’accusa di omicidio intenzionale chi incita le immolazioni.

 

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