Scuola, i magnifici cinque (silenzi) del centrosinistra
Se provate a parlare con uno del Pd, uno a caso, noterete che a precisa domanda sulle proteste degli studenti manifesterà un evidente imbarazzo e infilerà una lunga serie di distinguo e precisazioni. “Sì, stiamo con loro, le proteste vanno capite, niente manganelli”. Ma i tempi in cui Bersani e Vendola salivano sui tetti è lontano anni luce. Oggi è tempo di puntualizzazioni sul ddl Aprea, la legge al centro delle contestazioni che il Pd ha votato e che ora tenta di rinnegare per non inimicarsi il popolo della protesta giovanile. La tesi dei Democratici è che il testo è stato approvato anche con il loro voto ma solo perché “ampiamente modificato”. Non sul punto più contestato del ddl Aprea, però, l’ingresso dei privati nella gestione della scuola. E non basta sostenere che il Pd ha grande attenzione per i giovani e che i problemi della scuola, primaria, secondaria e universitaria, nascono tutti dalle riforme del centrodestra. Ai giovani che manifestano non basta e l’imbarazzo, a sinistra, aumenta. Ecco perché nella sfida dei Magnifici Cinque delle primarie di centrosinistra, il tema della protesta studentesca è meno considerato dei duelli sul Porcellum, delle coppie gay e dei paradisi fiscali. La realtà è che gli studenti che in questi giorni manifestano in tutta Italia, spesso orchestrati da movimenti di sinistra, sono gli stessi che un anno fa erano sui tetti, su cui salivano i leader del Pd e di Sel per manifestare solidarietà. Solo che adesso diventa difficile dar ragione a quei ragazzi visto che la legge Aprea è stata approvata in Commissione con voto bipartisan, Pd compreso, e ora è al Senato dove dovrebbe godere della stessa sorte. Come fare a prenderne le distanze senza rinnegare il voto parlamentare? Difficile. Allora è meglio dare solidarietà ai ragazzi “manganellati” ed evitare di parlare dei motivi della loro protesta, tantomeno indicare soluzioni alternative nei proprio programmi, che di tutto parlano tranne che del tema dell’autonomia della scuola secondaria. Risultato? I ragazzi, che saranno anche incazzati ma non sono fessi, vanno a “trovare” Bersani a Napoli e lo contestano duramente, manco fosse la Fornero. Mentre in altri posti d’Italia, come a Galatina, vicino Lecce, gli studenti prendono di mira i comitati a sostegno di Matteo Renzi, un altro che quel ddl Aprea lo condivide ma non può dirlo. Tace, invece, Nichi Vendola, che almeno non ha il problema di averlo votato, quel disegno di legge, visto che in Parlamento il suo Sel non c’è proprio. Meglio sorvolare sugli altri due candidati.
I punti contestati del ddl Aprea
I ragazzi che si preparano a ridiscendere in piazza sabato ce l’hanno soprattutto con quei punti della legge che riguardano la riforma degli organi collegiali, con l’ingresso di esterni nei consigli scolastici. Le proteste riguardano anche il concorsone dei precari, gli scatti di anzianità e il tema della sicurezza delle scuole. Il punto chiave, la presunta limitazione del ruolo degli studenti e degli insegnanti interni nelle scelte degli istituti statali, che influenzerebbe le scelte delle scuole in base agli interessi privati, resta però un argomento tabù nel centrosinistra.
L’excusatio non petita del Pd
Sarà un caso, ma in questo gioco degli equivoci del Pd, in piena sfida per le Primarie, i chiarimenti sono stati affidati a una seconda linea, la responsabile scuola del Partito Democratico, Francesca Puglisi: «Noi del Pd alla Camera abbiamo cambiato profondamente la legge. Siamo consapevoli dei nodi irrisolti sulla rappresentanza studentesca e gli statuti autonomi, che ci impegniamo a cambiare, dopo la nuova fase di ascolto, al Senato». Il ruolo dei privati, con la Fondazione o senza, resta scritto nel ddl, nonostante i tentativi del Pd di minimizzare. «La possibilità per le scuole di ricevere finanziamenti esterni esiste già oggi e che in proposito la nuova proposta di legge introduce restrizioni e regole di trasparenza che prima non c’erano. Non sa, inoltre, che i programmi scolastici non sono nella disponibilità delle scuole autonome: non sono proprio argomento di questa legge, perché rientrano nelle norme generali sull’istruzione, che rimangono di competenza nazionale».
Primarie, nulla nei programmi
È vero che Matteo Renzi ha privilegiato la sintesi e l’immediatezza del messaggio, ma leggendo i dodici punti del programma del sindaco di Firenze non si arriva a nessuna conclusione sulla riforma della scuola in discussione in Parlamento e oggetto delle proteste. In generale, si parla di privati quando si propone “un fondo nazionale per la ricerca gestito con criteri da venture capital, in condizione di finanziare i progetti meritevoli al di fuori delle contingenze politiche”.
Ma è roba di università. Sulla scuola secondaria, invece, Renzi elenca una serie di misure da prendere per incentivare gli insegnanti, il merito, l’aggiornamento professionale. E sul fronte culturale si sollecita la creazione di Fondazioni miste per la salvaguardia di beni artistici ed architettonici. Ma nulla a che vedere con la scuola. Più esplicito, invece, Nichi Vendola, che racchiude tutto nel capitolo del programma “La scuola chiude la prigione”. I punti salienti sono la cancellazione della “famigerata riforma Gelmini”, ovviamente. Poi parla di un modello di formazione che accompagni i cittadini per l’intero arco della vita, di un insegnante di sostegno per ogni alunno con difficoltà, di multiculturalità come risorsa della comunità, di innalzamento dell’obbligo scolastico fino ai 18 anni e di assunzioni da fare. Nulla, però, sulla legge Aprea. E Bersani? Non ha mai esposto un programma dettagliato sulla scuola, ma ha solo dichiarato che invertirà la rotta. E sugli studenti? «Le proteste hanno un loro fondamento». Ma quale? Meglio tacere.