Pochi in pensione e con assegni da fame
La vecchiaia non ha un bel colore nell’istantanea che ci consegna il bilancio sociale dell’Inps illustrato ieri a Roma. È allarme povertà se si pensa che il 77 per cento dei pensionati, circa 7,2 milioni di italiani, prendono meno di mille euro al mese. Il 17% dei pensionati può contare, si fa per dire, su un reddito sotto i 500 euro, il 35% sta tra i 500 e i 1000 euro. Il 24% ha assegni tra 1000 e 1500 euro, solo il 2,9% oltre i 3000. I dati piombano sul dibattito politico, assieme a un altro elemento significativo: un milione di famiglie dichiara «reddito zero». el 2011 il reddito pensionistico medio lordo mensile erogato dall’Inps e dagli enti previdenziali era di 1.131 euro (1.366 euro per gli uomini, 930 per le donne).
Differenze Nord-Sud
Le differenze. Esistono grandi differenze a livello territoriale (in media 1.238 al Nord, 1.193 al Centro, 920 al Sud). Se invece del reddito complessivo si guarda alla singola pensione (ma oltre un quarto dei pensionati ne ha più di una) l’importo medio è di 780 euro, con grandi differenze tra quelle previdenziali (870 euro) e quelle assistenziali (406 euro).
Tra le pensioni previdenziali ci sono differenze significative nelle medie tra quelle di anzianità (1.514 euro medi), quelle legate al prepensionamento (1.469 euro medi) e quelle di vecchiaia (649 euro medi).
Nel 2011 l’Inps ha speso per ammortizzatori sociali 19,1 miliardi, con un calo dell’1,7% rispetto ai 19,4 miliardi spesi nel 2010 (nel 2009 sono stati spesi 18,2 miliardi). Sono stati spesi per prestazioni 10.797 milioni di euro, mentre 8.335 sono stati destinati ai contributi figurativi. Per la disoccupazione sono stati spesi 11,66 miliardi, per la cassa integrazione 5,2 miliardi e 2,4 miliardi per la mobilità.
Famiglie sempre più in difficoltà
Il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito, tra il 2008 e il 2011, del 3,8%: il bilancio sociale Inps evidenzia che nel 2011 si è avuta, a fronte di un aumento del reddito lordo disponibile in termini monetari dell’1,9%, una riduzione in termini reali dello 0,9%. Rispetto al 2007 la perdita di potere d’acquisto delle famiglie nel 2011 è stato del 5,2%. «Questa situazione – scrive l’Inps – avrebbe potuto essere ben più grave senza l’intervento compensativo delle prestazioni sociali».
Le italiane tornano a fare le colf
Le italiane tornano a fare le colf: dopo anni nei quali i lavori domestici erano stati sempre più appannaggio degli immigrati, la crisi economica ha riportato domestiche del nostro Paese nelle case. Secondo i dati Inps, infatti, nel 2008 le domestiche e badanti di nazionalità italiana erano 119.936, cresciute negli anni della crisi fino a 134.037 nel 2009, 137.806 nel 2010 e 143.207 nel 2011 (23.000 in più in tre anni, circa il 20%). La percentuale dei domestici italiani sul totale era del 22,6% nel 2008 (su un totale di 530.701), scesa al 18,6% nel 2009 (ma a causa dell’aumento significativo dei lavoratori immigrati contrattualizzati grazie alla sanatoria che si è avuta in quell’anno). Nel 2009 i lavoratori domestici erano nel complesso 718.996 (con un aumento di oltre 188.000 unità rispetto all’anno precedente). La percentuale dei lavoratori italiani nel settore è cresciuta nel 2010 arrivando al 19,1% (137.806 su 721.316) e ancora di più nel 2011 arrivando al 20,5% (143.207).
Diminuiscono le richieste
Secondo i dati c’è stato un vero e proprio crollo dei pensionamenti nei primi nove mesi di quest’anno, l’Inps fino a settembre 2012 ha liquidato 140.616 pensioni nel settore privato (-37,4% rispetto alle 224.869 erogate nello stesso periodo del 2011) e 58.939 nel settore pubblico, quello gestito dall’ex Inpdap, (-22,2% rispetto alle 84.599 erogate nello stesso periodo del 2011).
Il calo più consistente è stato registrato per le pensioni di anzianità nel privato (-44,1%). Le pensioni di vecchiaia, sempre nel privato, sono diminuite del 28,7% passando da 97.014 a 69.125. Dall’anno prossimo si esauriranno le uscite di coloro che possono andare in pensione con le vecchie regole e si comincerà ad uscire con le regole previste dalla riforma Fornero. Per le donne dipendenti del settore privato bisognerà avere compiuto almeno 62 anni e tre mesi nel 2013 (o 62 anni nel 2012 ma a quel punto si poteva uscire con le regole precedenti avendone 61 nel 2011 e avendo quindi anche scavallato la finestra mobile). Alla luce di tutti questi numeri e percentuali è facile trarre delle conclusioni: la “stangata” della riforma Fornero, con il combinato disposto della crisi che morde le famiglie, tiene lontano i lavoratori dal momento dell’addio. Chi ha un lavoro lo procrastina. Con tutte le ricadute in termini sociali, tra tutte, l’allontanamento dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. A causa dell’ultima riforma previdenziale, non solo è difficile andare in pensione, ma anche quando si taglia l’agognato traguardo, l’assegno percepito risulta mediamente basso.
Questo dato conferma ancora di più la necessità della pensione “di scorta” se si vuole vivere una vecchiaia appena decente, visto che fra l’altro la pensione pubblica non è adeguatamente rivalutata, oppure per effetto delle varie manovre, non è rivalutata per niente.
I sindacati: situazione esplosiva
Il bilancio sociale dell’Inps, secondo la Cgil «fotografa una situazione sociale esplosiva, peraltro ulteriormente aggravatasi nel corso del 2012». Il l segretario nazionale Cgil, Vera Lamonica sostiene: «È singolare che su tutto questo il ministro Fornero, nel suo intervento non abbia speso una parola, limitandosi a ribadire il suo concetto di sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, scisso da ogni considerazione sulla sua molto discutibile sostenibilità sociale». Il prezzo da pagare è troppo alto: questi dati «dovrebbe dissuadere il governo da qualsiasi ulteriore intervento riduttivo della spesa previdenziale. Anzi, sarebbe necessario un puntuale adeguamento al costo della vita delle pensioni erogate», afferma il segretario confederale dell’Ugl, Nazzareno Mollicone.