Tra dinosauri e rottamatori l’applauso va, quasi sempre, ai primi
Rottamare, resettare, formattare. Eccolo qua il neovocabolario della politica arrembante, giovane ma anche un po’ paracula, che sostituisce verbi più ambiziosi, come rifondare, riformare, rinnovare. Un decano come Ciriaco De Mita se ne dice “inorridito”, specifica di essere un “sopravvissuto” e compiange i destinati alla sostituzione per motivi anagrafici: Casini, Fini, Alfano, D’Alema. «È un peccato – osserva – che dobbiate essere rottamati». Un peccato per alcuni, una catarsi per altri. Eppure, a ben guardare, è stato un “rottamando” come Walter Veltroni ad innescare nel suo partito quel ricambio di cui Matteo Renzi si è fatto paladino a portavoce, costruendo su questo imperativo la sua immagine pubblica. È bastato che Veltroni facesse un passo indietro, non dalla politica ma dal Parlamento, per provocare rinunce reali e non chiacchiere da camper. Prima D’Alema è stato costretto anche lui a un mezzo passetto all’indietro: «Non mi candido, ma se il partito me lo chiede…». Bersani ha risposto: «Io non te lo chiedo». E il caos nelle file dei democratici è arrivato a livelli giganteschi. Ieri è stata la volta di Anna Finocchiaro, che ha adottato lo stesso schema di D’Alema: non chiedo deroghe, il partito decida se sono utile o meno. Ora si attende un’analoga presa di posizione di Rosy Bindi. Ma chi è stato a provocare il terremoto? Non Renzi, non Civati, non i “giovani turchi”, non i blogger ultraindignati. Ma un dinosauro navigato come Veltroni. A dimostrazione del fatto che in politica, quasi sempre, l’esperienza ha la meglio sul rampantismo.