In aula un triste talk-show fazioso
Le creature innocenti che dalla tribuna assistevano al dibattito si sono illuminate quando il presidente ha annunciato il nome della Carlucci e in aula è apparsa, caracollante, una bionda platinata sui tacchi. Credevano fosse Milly, quella del circo sul ghiaccio e dei pattini: invece era la sorella, Gabriella, ricomparsa sul proscenio della vita politica nazionale per indignarsi sul caso del bambino trascinato via dalla polizia a Padova. In ritardo, ovviamente. L’informativa del governo era finita da un pezzo e anche gli interventi degli iscritti a parlare, ma lei ha chiesto la parola, parlando a nome del gruppo Udc, a cui aveva aderito, casualmente, negli ultimi giorni da premier del Cavaliere. L’apparizione della Carlucci è stato forse uno dei rari momenti di ricreazione per le scolaresche presenti sulle tribunette della Camera, che ieri si sono ritrovate ad assistere al triste dibattito parlamentare sulla tragica vicenda del bambino conteso di Padova, con annesse polemiche sul video choc e sul comportamento della polizia. Una prova non eccelsa della politica, visto che la discussione s’è trasformata subito in un talk-show con tesi di parte, manco fosse la legge elettorale. In un aula semivuota, con la presenza nella file del Pdl del segretario Angelino Alfano e di Valter Veltroni in quella del Pd, il primo intervento è stato della neomamma Nunzia De Girolamo, del Pdl, che come tutti ha criticato l’atteggiamento arrogante dell’agente di polizia e l’eccesso di brutalità nell’intervento di restituzione del bambino al padre. «L’augurio, che deve diventare impegno, è che quanto è successo possa servire per condannare la violenza assurda a cui abbiamo assistito, ma anche ad impegnarci per creare un sistema più chiaro, più semplice e più umano per regolare vicende così drammatiche e difficili…». Anche lei, però, non ha resistito alla tentazione di inserire nel ragionamento l’elemento politico di parte, l’invadenza della magistratura, visto che «in Italia non vi è settore della vita pubblica, privata, sociale e produttiva che non finisca per essere sostanzialmente regolato attraverso il suo intervento…». In difesa del partito dei giudici e delle sentenze s’è invece schierato il deputato del Pd Alessandro Naccarato, che ha incentrato il proprio intervento sul principio di legalità: «Senza l’aiuto delle forze di polizia anche il tentativo di ieri sarebbe fallito e il bambino avrebbe continuato a vivere con la madre in violazione della sentenza e, pertanto, con un evidente danno. Le forze dell’ordine sono intervenute per eseguire una sentenza e per tutelare l’incolumità e la salute del bambino dopo che altri non erano riusciti ad eseguirla. Per evitare il dramma di ieri e anche l’intervento delle forze dell’ordine stesse, sarebbe stato sufficiente che la famiglia della madre non si fosse opposta con la forza all’esecuzione della sentenza e avesse affidato, con l’aiuto degli assistenti sociali presenti, il bambino al padre».
Tra gli intervenuti, anche l’ex sindaco di Cittadella, teatro della vicenda, il leghista Massimo Bitonci, che ovviamente s’e messo a difendere il proprio orticello politico, la comunità da lui amministrata: «Ero sindaco fino a qualche mese fa e di queste cose purtroppo ne ho viste tante. In quasi diciotto anni di situazioni di questo tipo, di conflitti familiari, ne ho viste decine e decine, e purtroppo in questo campo non ci sono soluzioni. Questi casi si ripetono con troppa frequenza e i bambini vengono usati come merce di scambio per colpire l’altro genitore. Questa è la realtà». Di riforma della giustizia minorile ha invece parlato l’esponente dell’Udc Antonio De Poli, tenendo fede a una line politica filo-toghe che il partito di Casini ha inaugurato dai tempi dell’elezione del “suo” Michele Vietti alla vicepresidenza del Csm. «Dobbiamo arrivare ad una riforma della giustizia minorile, dobbiamo parlare di un tribunale per la famiglia dove, nel momento in cui vi sono i due casi, si devono condividere prima, non che uno fa una cosa e, dall’altra parte, un altro ne fa un’altra. Credo che se questo vi fosse stato e vi fosse nella nostra legislazione, forse avremmo evitato il caso di Leonardo come tanti altri casi che in Italia stanno succedendo». Tutto incentrato sulle responsabilità delle forze dell’ordine, invece, l’intervento di Flavia Perina: «Credo che questi comportamenti vadano sanzionati, anche e soprattutto a tutela del buon nome delle forze dell’ordine, per chiarire a tutti che nell’esercizio dell’autorità e della forza dello Stato vi è un limite riconoscibile». Ovviamente anche lei ha agganciato al moto di indignazione un proprio “must” politico, le coppie di fatto, su cui Fli e il presidente Fini combattono da tempo le proprie battaglie. «Sappiamo ormai tutti, perché è esperienza diretta di tutti noi, che la parola famiglia oggi va declinata al plurale…», ha spiegato la Perina.
A chiedere l’informativa urgente del governo in aula era stato il gruppo dell’Italia dei Valori, che ieri, per voce di Antonio Borghesi, docente di economia delle imprese, ha tuonato in aula, con una retorica alla Barbara D’Urso, sullo Stato che “ha violato il primario presidio di educazione alla legalità e ha violentato, perché di violenza si tratta, uno dei suoi figli più fragili, cioè un bambino, vittima di un forte disagio”. Per poi arrivare al punto: il capo della polizia, Manganelli, guadagna oltre 620 mila euro l’anno. Troppi, non c’è dubbio. Ma che c’entra col bambino di Padova, visto che la responsabile è una poliziotta che guadagnerà non più di milletrecento euro al mese?