Bersani riscopre la voglia dell’urna
«Credo che occorra fare un po’ di chiarezza», ha esordito Pier Luigi Bersani nel suo intervento a Lamezia Terme che ha chiuso un convegno del Pd dedicato al Mezzogiorno. Un invito che si fa di ora in ora più urgente: la conta dei favorevoli e dei contrari all’ipotesi di un Monti bis, infatti, aggravatasi con il sostegno dichiarato di Fini, Montezemolo e Casini, disgrega progressivamente il partito, con Bersani – ma anche Renzi – e i loro, che non ne vogliono sapere e puntano alle urne e al governo, mentre l’area modem del Pd, ma anche i liberali e i veltroniani, rifiutano l’idea di un’alleanza con Vendola e dunque chiedono di guardare al centro e a Monti. E tra i due pianeti, una miriade di satelliti che a stretto giro dichiarano la loro appartenenza alla crociata pro, o alla fazione contro, un nuovo mandato al premier tecnico. Così, se Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, argomenta il suo “niet” spiegando che il Monti bis è sostenuto da una parte dei poteri forti e – puntando, viceversa, sullo zoccolo duro dell’elettorato di sinistra, garantito da banche amiche, cooperative e sindacati – propone l’idea di «un’agenda progressista» su cui lavorare, il deputato Beppe Fioroni, commilitone schierato sul fronte contrapposto, si augura che Monti «trovi il modo di candidarsi»: una linea su cui si assesterebbe anche un gruppo non proprio sparuto di “montiani” del Pd di cui fanno parte, tra gli altri, Paolo Gentiloni, Enrico Morando, Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti. Insomma, al contrario di quanto accaduto con l’anti-berlusconismo, fenomeno aggregante in grado di creare saldi schieramenti e di amalgamare tra loro anche forze disomogenee al loro interno – ma unite dal comune denominatore politico da avversare – il neonato “montismo” sembra scatenare l’effetto opposto. Il processo è ancora in fase embrionale, certo, ma è un fatto che già la sola ipotesi di un Monti-bis abbia diviso trasversalmente il Pd: e ieri, sulle teorie possibiliste avanzate nei giorni scorsi dai “montiani democrats”, è arrivato il gelo del segretario Bersani che da Lamezia Terme ha tuonato: «Basta scorciatoie e ricette italiche. Non significa che io voglio che Monti torni alla Bocconi – ha poi aggiunto il segretario Pd – lo abbiamo voluto noi, quindi non mi vengano a dire quanto è bravo». È solo che ora il segretario del Pd, ieri fautore della soluzione tecnica, oggi opta per un’altra strategia: «La politica deve rimettersi in gioco, affermare il suo ruolo riconoscendo anche il suo limite; serve, quindi, aprirsi alla società civile». Un’ipotesi, quella del Monti bis, segnata come errore rosso sulla carta programmatica del Pd anche da Massimo D’Alema che, nei giorni scorsi, con britannico fairplay ha ribadito la sua posizione di sostenitore del «Bersani uno» e, facendo quadrato intorno al segretario, ha liquidato la questione con un lapidario «Il Professore ha fatto bene, ma ora serve una coalizione di centro-sinistra».
Decisamente più diretto l’antagonista di Bersani in casa democratica, Matteo Renzi, che da una tappa all’altra del suo tour promozionale respinge al mittente l’ipotesi di un Monti bis con un secco: «Mi preoccupo che il Pd non vada verso un modello “riserva indiana”… A Palazzo Chigi va chi vince alle urne, perché non è pensabile fare le elezioni come se fossimo su Scherzi a parte». In realtà, però, c’è poco su cui scherzare, e l’establishment del Pd potrà verificarlo in prima battuta sabato 6 ottobre all’Assemblea nazionale, dove i nodi da sciogliere non saranno pochi. Ad elencare il cahiers de doléances, allora, ha provveduto Beppe Fioroni dichiarando che «il Pd non può esser prigioniero di Vendola, che per partecipare alle primarie chiede di rinunciare all’accordo con i moderati e di pronunciare un’abiura sul nome di Monti», e sottolineando che «la novità è la metamorfosi di Renzi, che ha tirato fuori un dirompente antimontismo». La confusione,insomma, regna sovrana: l’unico dato certo è che il sasso lanciato da Monti con la sua «disponibilità» a proseguire è caduto nelle acque ristagnanti della coalizione progressista che Bersani sta cercando di allestire – Pd-Sel e socialisti, da accordare con i centristi – agitando le correnti.