Tutti scoprono il popolarismo: il Ppe si svegli…
Le ragioni dei popoli contro la dittatura dei mercati brutti, sporchi e cattivi. Indipendentemente dal ritardo con cui Angela Merkel si sia richiamata alle ragioni dei popoli contro la finanziarizzazione dei processi economici, il tema chiama in causa le radici profonde del progetto europeo così come lo sognavano i padri fondatori, ossia stimola a ripensare a come riaccendere la fiaccola di quel popolarismo fondato sull’economia sociale di mercato che doveva essere incarnato dal Partito popolare europeo. Il problema è che in questi anni il Ppe è diventato un contenitore privo di un’identità culturale comune e dunque, non più in grado di imprimere scelte legate alla salvaguardia di una socialità che fosse in linea con la grande tradizione del Welfare europeo. Cade quindi a proposito la due giorni fiorentina – oggi e domani – durante la quale il gruppo del Ppe discuterà sul proprio ruolo, su come ripristinare la crescita e la difesa dei valori non negoziabili. Il presidente del gruppo Ppe, Joseph Daul guiderà la “convention” che vedrà la partecipazione del premier Mario Monti, del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, del presidente della Commissione europea Josè Manuel Durao Barroso, del segretario del Pdl Angelino Alfano, del leader dell’Udc Pierferdinando Casini, di commissari europei, ministri e deputati del gruppo Ppe.
È innegabile che si sia impoverito nel tempo il popolarismo europeo, ammette Mario Mauro, presidente della delegazione del Pdl al gruppo del Ppe: «L’economia sociale di mercato non è una novità scoperta dalla cancelliera tedesca, ma un caposaldo del Ppe fin dalla sua fondazione». Certo è che qualcosa si è inceppato, in particolare «dopo la caduta del Muro di Berlino», ricostruisce il parlamentare, «molti partiti che si sono trovati a confluire nel Ppe erano a trazione liberista, in quanto reduci da quello “choc” che era stato lo statalismo sovietico. Per cui, quei partiti che si sono trovati alla guida di governi di centrodestra nei rispettivi paesi erano approdati all’economia di mercato attraverso veloci processi di liberalizzazioni e privatizzazioni». Gli equilibri interni del Ppe ne hanno indubbiamente risentito. «In questi paesi dell’Est, che negli anni sono entrati a far parte della Ue, si sono poi registrate delle oscillazioni in tema di scelte economiche: se in un primo momento le scelte “liberiste” hanno suscitato euforia, successivamente hanno creato un momento di depressione, perché non garantivano comunque livelli di welfare accettabili. C’è stato quindi un ritorno alle socialdemocrazie».
La crisi d’identità del Ppe viene dunque da lontano, me si è consolidata nel tempo. «È innegabile che il filone rappresentato dai democristiani sia stato falcidiato, ma è anche vero che all’interno della Dc italiana un filone liberale riformista conviveva con il popolarismo delle origini. Anche nel Pdl convivono queste due sensibilità», spiega Mauro. Sintetizzare il tutto in un unico partito non è stato facile e ha spesso «prevalso il tentativo di separare i riferimenti culturali dalla necessità di una lettura più adeguata alle esigenze dei mercati: il risultato è che la finanziarizzazione ci ha indeboliti e dobbiamo porci seri interrogativi se in Europa il 55% del Pil aggregato è fatto di prodotti derivati…». Dunque, ora «siamo arrivati a un “redde rationem” ammette Mauro. Il popolarismo europeo può essere rivitalizzato e rilanciato solo a condizione di «ritornare alla filosofia originaria incentrata sui valori della persona, della famiglia, delle piccole imprese, gli unici principi in grado di guidare la crescita e una ripresa dei consumi. Consideriamo che il clima di oggi ci dà ragione: in questo momento anche i partiti più liberali del Nord Europa stanno riconsiderando i principi dell’economia sociale di mercato…».
La vicepresidente del Parlamento europeo, Roberta Angelli non ha dubbi sul fatto che il Ppe abbia perso la sua identità, esaurendo la spinta dei padri fondatori, «il grande sogno di un’Europa dei popoli, fondata su un modello antitetico a quello americano, che coniugasse benessere, solidarietà e socialità. Questa grande tradizione in cui confluiva il meglio delle famiglie politiche – dalla destra sociale, a De Gasperi, dalla tradizione cattolica fino alla destra sociale tedesca, si è annacquata nella ricerca di un moderatismo e di un equilibrismo a tutti i costi», analizza la parlamentare, «nella volontà di cercare compromessi tra popolarismo e strizzatina d’occhio al capitale e alla finanza». La conseguenza è stata devastante: «Il Ppe, il partito più ampio numericamente, spesso si trova ad arrancare dietro i socialisti europei che riescono a trovare convergenze più ampie». Anche per lei la diffusa esigenza di un’economia dalle attitudini sociali più marcate è un’occasione che il Ppe non deve perdere ma anzi cavalcare. Il popolarismo europeo può tornare ad essere la bandiera del Ppe a patto che questo «torni ad essere chiaro, intransigente nella salvaguardi dei valori di fondo che ne sono stati il suo Dna. A patto, insomma, che torni ad alzare la voce quando serve, senza appiattirsi su un moderatismo astratto e sterile politicamente».
«Serve poi più coraggio nei confronti della componente tedesca all’interno del Ppe», prosegue l’Angelilli. «Spesso prevale un “complesso” da parte delle altre delegazioni europee, che finisce per far diventare prevalenti le posizioni tedesche. Questo ruolo va sicuramente ridiscusso con coraggio». La “scossa” bisogna darla presto, sostiene l’Angelilli, «ora più che mai serve rimettere al centro del dibattito europeo la “nostra” chiave di lettura dei problemi in un momento in cui le intuizioni originarie del Ppe si stanno rivelando quelle giuste».