Pansa: “In Italia è ancora inconcepibile una storia scritta dai vinti“

14 Set 2012 20:30 - di

Due film – uno appena uscito, l’altro ancora in preparazione – hanno in questi giorni riaperto l’eterno dibattito sulla memoria condivisa. Parliamo di “Sfiorando il muro”, di Silvia Giralucci, che prende le mosse da un tragico fatto di violenza politica degli anni ‘70 targato Br, e de “Il segreto”, di Antonello Belluco, che ha sullo sfondo l’eccidio di Codevigo, in cui 136 persone vennero uccise dai partigiani nel 1945. Il primo è stato appena presentato a Venezia, l’altro viene faticosamente girato in queste settimane fra infinite scomuniche. Comune denominatore? Le polemiche. E l’incapacità di saper rispettare la storia dell’altro da sé. Giampaolo Pansa, pur provenendo dalla sinistra culturale, a comprendere la memoria dell’altro ci ha provato. E in molti gliel’hanno giurata. Colpa delle ferite ancora aperte, dice. Delle tradizioni familiari che grondano sangue. Ma anche di una certa educazione all’odio che non è mai cessata.

Ma è davvero difficile arrivare a una memoria condivisa?

Memoria condivisa significa che se io e te abbiamo storie molto diverse io accetto… anzi no, non accetto, io rispetto la tua storia e tu rispetti la mia. Ecco, tutto ciò in Italia è una pia illusione, un’utopia. Appartiene a una dimensione ideale, non alla nostra realtà quotidiana.

È per questo che film come quello sull’eccidio di Codevigo danno ancora fastidio?

Certo. Sulla guerra civile, che durò dal settembre 1943 all’aprile 1948, non c’è condivisione e non ci potrà essere, per il momento. E poi figuriamoci, ancora ci dividiamo sulla storia del sud, Garibaldi e i Savoia… devono passare ancora molti anni.

Perché succede questo?

Perché anche chi non sa nulla delle tragedie di quegli anni, della Rsi e della Resistenza, ha comunque appreso a ragionare secondo lo schema buoni/cattivi dalla tradizione familiare. E anche quando non c’è quest’ultima c’è spesso una educazione che definire politica sarebbe troppo elegante, io la definirei una educazione al fanatismo che insegna a ragionare in modo manicheo. Qualche anno fa, comunque, la situazione era peggiore.

A cosa si riferisce?

Fino a una decina d’anni fa il clima era ancora più intollerante. Credo che anche i miei i libri abbiano contribuito ad abbattere una sorta di muro di Berlino che culturale che ancora vigeva in questo Paese. Penso a I figli dell’aquila, del 2002, che aveva per protagonista un soldato della Repubblica sociale. Ma soprattutto a Il sangue dei vinti, del 2003, che ha venduto un milione di copie. La gente ha imparato in questi anni che non esistono tabù, nulla è intoccabile. È stato fatto molto, ma quel molto è ancora pochissimo, e vicende come quella del film su Codevigo lo dimostrano.

L’incapacità di raggiungere una memoria condivisa è una specialità italiana o anche all’estero è così?

No, non credo sia una specialità italiana. Pensiamo solo ai paesi che hanno vissuto l’occupazione nazista o sovietica. Dovrà passare qualche secolo, le ferite sono ancora aperte. Pensiamo a una famiglia tedesca che abbia vissuto l’occupazione sovietica: stupri, torture, sparizioni. Ci sono storie inimmaginabili…

Ma la guerra è finita da un pezzo…

Noi crediamo che quando cessano di parlare le armi tutto sia finito. Invece no, il dramma inizia allora. La guerra lascia veleni con cui la pace deve fare i conti. Scrivendo i miei libri è questa la conclusione a cui sono giunto. È anche il motivo per cui sono diventato un pacifista integrale.

Se non c’è accordo sulla guerra civile iniziata nel 1943, figuriamoci sugli anni di piombo. A proposito, ha visto il film di Silvia Giralucci?

No, ma conosco bene la storia. Io all’epoca ero a Padova per il “Corriere della Sera”, ma fortunatamente non mi intruppai con quei colleghi che parlavano addirittura di faida interna al Msi. Anche dopo la rivendicazione delle Br ci fu chi non ci credette e continuò con i veleni. Fu un brutto capitolo per l’informazione italiana…

Perché quella storia fa ancora male?

Perché è ancora inconcepibile una storia scritta dai vinti, da chi in quelle vicende ha sofferto ed è stata vittima.

Intanto di Brigate Rosse si è tornati a parlare anche in seguito alla recente sentenza che ha definito i neobrigatisti solo sovversivi e non terroristi. Lei che ne pensa?

Mi sembra una follia e un errore grossolano.

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