Monti: bello governare, ma non candidarsi
Mario Monti è un po’ come Cassius Clay (con tutto il rispetto per il grande Muhammad Ali). Ha dei tratti in comune col pugile che fanno di lui un avversario da non prendere sotto gamba. Innanzitutto l’abitudine ad autoincensarsi e dettare in conferenza stampa i titoli degli articoli che parlano di lui. Muhammad lo faceva con urli e strepiti, agitando i pugni in aria e facendo smorfie. SuperMario, essendo sobrio, lo fa con voce monotona, toni bassi e senza cambiare espressione. Il che è peggio. Poi ha un gran gioco di gambe: non lo trovi mai dove pensavi che fosse. «Non mi candido, non mi interessa restare al governo… Ma se me lo chiedono… Candidarmi? No di certo. Ma se mi pregano di restare…». Move like a butterfly, sting like a bee. In Italia schiva ogni associazione coi politici, sputa addosso al Parlamento, insulta i partiti. Ha senso: come farebbero gli italiani ad accettare di essere governati da uno che non hanno votato (e manco conoscevano una settimana prima dell’incarico) se non gli si ricordasse ogni giorno quanto orrenda fosse l’alternativa? Poi va negli Usa a fare rapporto e si trova davanti gente che lo guarda perplesso e non capisce – lì dove persino giudici e sceriffi sono votati dal popolo – che strano Paese sia quello dove si viene governati senza alcuna possibilità di scelta. E allora lì si fa “politico”, ricorda che è senatore a vita (ma non che lo ha nominato Napolitano contestualmente all’incarico di Commissario) e rassicura l’opinione pubblica americana sul fatto che il prossimo governo dello strano Paese a forma di stivale sarà “politico”. Cosa che d’altronde ripeteva anche da noi. Quindi lui era escluso. E invece è tornato da Disneyland con indosso la maglietta con scritto “io sono un senatore”. Cioè un politico. Ma anche un tecnico. E un professore. Insomma: fichissimo!