Le manovre degli strateghi del Monti-bis
Lui ha lanciato il sasso, grande o piccolo che sia non importa. E come nelle migliori regìe cinematografiche, la trama si è arricchita di personaggi e colpi di scena (alcuni scontati, altri meno). Per il prossimo governo, in diretta da New York, Monti ha proposto se stesso. E qui in Italia si è subito formato il “partito” degli sponsor: investe aree diverse e va completando un puzzle fino a qualche tempo fa difficile da ipotizzare. Tra i favorevoli vengono fuori alcuni spezzoni dei partiti, la Cei e Marchionne, passando per una (meno) entusiasta Confindustria. Il tutto con la “benedizione” della Merkel e della Goldaman Sachs. Casini brinda con confetti e champagne all’ipotesi del bis continuando a parlare dei tecnici al governo come gli adolescenti parlano dei propri idoli calcistici o televisivi, da Buffon a Gabriel Garko. Ma la partita sembra che si giochi altrove. A muovere le tessere sono come al solito i cosiddetti poteri forti. Quelli che hanno portato il professore della Bocconi a Palazzo Chigi lo scorso novembre e adesso si mobilitano per fare un modo che l’esperienza continui. L’offensiva è partita già prima dell’estate, con le agenzie di rating che ci mettevano per l’ennesima volta sotto osservazione non perché la situazione economia fosse peggiorata, ma perché – facevano osservare – c’erano molti interrogativi di carattere politico legate al dopo elezioni. Non si sapeva, in sostanza, se la cosiddetta “agenda Monti” avrebbe costituito ancora la priorità dell’Italia. In tempi recenti, poi, è arrivata anche Goldman Sachs che ha addirittura confezionato un report per dettagliare agli ambienti bancari, della finanza e del mondo produttivo che contano quanto rischioso sarebbe stato un cambio al vertice del governo italiano. Si muovono i poteri forti, ma si muove anche l’Europa politica. Qui la parola d’ordine sembra essere quella di non disturbare il manovratore”. Su tutti Angela Merkel. Si è data da fare per far dimettere Berlusconi e oggi non lesina sforzi per evitare che tutto questo suo lavoro non venga vanificato. La cancelliera entra ancora una volta a gamba tesa nella politica italiana e, tramite il suo portavoce, sottolinea che con Monti in questi mesi «ha sempre lavorato bene». Prima, invece, – par di capire – non era la stessa cosa. La Germania non ha fatto mancare il solito affondo contro il Cavaliere criticando le parole sull’ipotesi dell’uscita di Berlino dall’euro («non sarebbe un dramma»). Parole «assurde», secondo la Merkel. Ma che tanto assurde forse non sono, visto che si preferisce avere Berlusconi fuori dai giochi per poter fare le cose senza nessuno che si metta di traverso.
I tifosi della squadra di Monti
Tra coloro che si arruolano nella squadra di Monti c’è il Pd Giuseppe Fioroni che accoglie positivamente l’apertura del premier ma gli chiede di scegliere «modi, forme e gradazioni per comunicare agli italiani, prima del voto, la sua disponibilità». Batte le mani anche Marco Tarquinio, direttore del giornale cattolico “Avvenire” che, in un commento di prima pagina, parla di «passo utile» e di «un altro servizio reso al Paese dall’uomo che il presidente Napolitano ha fatto senatore a vita e la grande crisi ha condotto di filato a Palazzo Chigi». Solo il parere di un giornalista? No. A dare l’imprimatur a questa posizione ci pensa monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei. «Siamo preoccupati – afferma – per la situazione e quindi siamo vicini a qualsiasi soluzione possa favorire un adeguato e rapido superamento della crisi». Ma non siamo di fronte a una sorta di commissariamento dell’Italia da parte dell’Unione europea?, gli chiedono i giornalisti. Per nulla, afferma, perché «c’è condivisione, intreccio e scambio accresciuto in sede comunitaria». Allora è tutto ok? Forse no, visto che lo stesso Crociata sostiene che «bisogna vigilare per evitare forzature o limitazioni all’autonomia e all’indipendenza sacrosante degli Stati». L’ipotesi del Monti.bis? «Non ci occupiamo di nomi ma auspichiamo – sostiene il segretario generale della Cei – una coesione accresciuta tra chi ha a cuore il bene del Paese» Un vestito che sembra tagliato ad arte per il professore.
Un governo Monti-bis piace anche in Fiat. Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, dice che «sarebbe un passo avanti per il Paese. Darebbe credibilità e toglierebbe molta incertezza». A chi? Probabilmente a lui che non riesce a vendere le macchine. Per chi lavora in fabbrica, invece, è un altro discorso. Questi ultimi hanno visto ridursi i loro redditi a causa delle stangate del governo dei tecnici e oggi inghiottono amaro. Per Marchionne, comunque, «la conferma di Monti avrebbe un grande valore in termini di credibilità internazionale». Concorda anche la Confindustria. «Il Monti-bis è una delle possibilità» afferma il presidente Giorgio Squinzi.
Democratici divisi
L’ipotesi di un Monti-bis in ogni caso pone più di un problema. Il Pd si divide. A Fioroni che rema a favore si contrappone Matteo Renzi secondo il quale «il premier lo devono scegliere i cittadini». E la candidatura del professore? «Un messaggio ai mercati e ai partiti», afferma il sindaco di Firenze, mentre Bersani fa il pesce in barile limitandosi a dire che il Pd continuerà a remare nel solco del rigore. Si smarca pure la Cgil. Per la Camusso la riconferma di Monti a Palazzo Chigi sarebbe «un messaggio di rassegnazione, non la prospettiva di cambiamento di cui il Paese ha bisogno». Insomma, il professore va bene quando si tratta di Mandare via Berlusconi da Palazzo Chigi, ma se poi c’è anche una remota possibilità che a governare ci vada il Pd allora non si discute nemmeno. In questo caso Bersani non ha alternative. Per Casini, invece, è diverso. Lui, con il suo 5 per cento, può elaborare soltanto delle strategie. Il suo entusiasmo acritico non è privo di interessi «Tende – secondo il senatore del Pdl Raffaele Lauro – a scambiare il ruolo politico dell’Udc con la sua ambizione personale di un settennato al Quirinale». Un compromesso che, afferma il parlamentare, «liquiderebbe, di fatto, la nostra democrazia rappresentativa, trasformandola in un protettorato di oligarchie, economiche e finanziarie, nazionali ed internazionali».