Il Pd col vizietto del “me ne frego” (non fascista)
Gli hanno dato dello spaccone, l’hanno descritto come un borgataro (fiorentino) solo per aver detto che non gliene può «fregà de meno» dei dubbi di Rosy Bindi sulle primarie. Matteo Renzi – secondo i vertici del partito – stavolta l’ha fatta grossa, parlando così della presidente del Pd. E il democratico Dario Ginegra gli ha contestato il linguaggio «guascone da strada». Ma non è la prima volta che il sindaco ha usato quell’espressione. «Sarò sbrigativo – disse a marzo, durante la trasmissione radiofonica “24 Mattino” – a me dell’articolo 18, usando un tecnicismo giuridico, non me ne po’ fregà de meno», anche in questo caso con espressione romanesca. Ma Renzi ha un predecessore illustre del “me ne frego”. È Dario Franceschini. Che già un anno fa, parlando delle elezioni politiche e ipotizzando l’ammucchiata, disse: «Serve una grande alleanza politica, chi se ne frega se Fini è diverso da noi». Sempre lui, in un forum s’è lasciato andare: «Ci dicono che facciamo antiberlusconismo? Chi se ne frega». Forse ce l’ha per vizio, ma sul web – dopo le sue parole – si sono sempre scatenate le ironie sul passaggio dal “me ne frego” fascista al “me ne frego” di Franceschini. Poi però c’è stata la sortita di Rosario Crocetta, candidato del Pd in Sicilia: «Se dovessi diventare presidente della Regione dirò addio al sesso». Il popolo del web (e non solo) ha risposto con un gigantesco: «E chi se ne frega». E Renzi, stavolta, visti i precedenti, l’ha fatta franca.