I tecnici scoprono l’economia reale. Ma solo dopo averla affossata…
Questi tecnici “dottor Jekyll e mister Hyde” ci stanno veramente facendo impazzire con le loro schizofrenie verbali con cui smentiscono loro stessi e la filosofia di fondo che ha informato i provvediementi da loro posti in essere in questi nove mesi. Ebbene sì, ora tutti, da Monti alla Fornero, riscoprono l’economia reale. Con il particolare non proprio secondario che le loro riforme hanno bloccato proprio il motore dell’economia reale, ossia la crescita e i consumi, dei quali ogni giorno riceviamo dati e fotografie da camera mortuaria. Ieri il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, si trovava a Bruxelles e sembrava sbarcata da Marte quando ha detto «che serve che ci sia uno spostamento dell’enfasi dalle politiche di stabilizzazione finanziaria a politiche macroeconomiche a sostegno dell’economia reale, che vuol dire occupazione, produzione e reddito per le famiglie». Peccato che la sua riforma del lavoro ha inciso negativamente proprio in termini di flessibilità, mettendo nei guai le piccole e medie imprese, che significano, appunto, famiglie.
Fino a poco tempo fa i professori sostenevano che la priorità fosse la politica di rigore nei conti pubblici, quindi tasse, Imu, nuovi balzelli e quant’altro; sostenevano, Monti in testa, che bisognava «ascoltare i mercati» e che la condizione indispensabile per salvare l’Italia era calmierare lo spread. L’altro giorno Bankitalia ci ha detto invece che lo spread italiano reale dovrebbe aggirarsi sui 200 punti e che gli attuali livelli non sono determinati dai “fondamentali” indicatori economici. Di punto in bianco invocano un ritorno alla realtà. Abbiamo scherzato, sembrano dire. Il che significa, abbiamo fallito. Già a luglio Monti sorprendeva con questa ammissione: «Proprio la situazione difficile nella quale versa l’eurozona è per noi motivo in più per cercare rapporti solidi nell’economia reale, industriale e commerciale». Economia reale come un nuovo “abracadabra”?Sognamo noi o siamo di fronte a un “impazzimento” generale? Ancora: «Il nostro Paese si basa sui fondamenti solidi», aveva detto il premier, «anche se è vero che abbiamo il debito estero più alto, è vero altresì che il livello dei debiti privati dei cittadini è uno dei più bassi in Europa, grazie ai risparmi accumulati nei decenni dalle famiglie italiane». Questo nuovo lessico familiare è un caso di schizofrenia? Si potrebbe commentare, tecnici bentornati sulla terra, se non fosse che i guai procurati da questi esimi professori finanzieri non sono di quelli che si risolvono dall’oggi al domani: i pasticci procurati agli “esodati” per esempio e a tanti pensionati non è che si possano perdonare a cuor leggero. Osservando i peggioramenti progressivi dell’occupazione, dei consumi, del turismo, (i dati Ocse e di Federalberghi di ieri) non possiamo farci incantare da questa loro tardiva presa d’atto mascherata da ottimismo. È un Mario Monti quasi mistico quello che ha pronunciato l’oracolo «la ripresa è dentro di noi». L’ottimismo montiano è ora giudicato un illuminata previsione: la ripresa c’è anche se «non la si vede nei numeri», aveva detto. Se queste stesse parole avesse osato pronunciarle il Cavaliere sarebbe stato preso per un pazzo delirante…. Tanto più che molto meno ottimista del premier è il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ha detto di aspettarsi «maggiore disponibilità verso la crescita e provvedimenti concreti. Agli industriali serve semplificazione normativo-burocratica e un Paese normale». A questo Paese poco normale si aggiunge anche la constatazione, esilarante, se non l’avesse pronunciata il Capo dello Stato, che «il problema più serio che abbiamo è la disoccupazione giovanile». Il problema ci arrovella tutti, ma non si possono confondere gli effetti con le cause. Il problema numero uno va chiamato con il nome giusto e si chiama crescita. Quella crescita che i tecnici da lui caldeggiati hanno affossato. Quando si incide negativamente sul mercato immobiliare, sui risparmi, sull’accesso al credito, si chiude bottega e si va tutti a casa. Solo che quando ci va un cinquantenne la tragedia è familiare e collettiva. I giovani sono la parte di un tutto molto più complicato.