Caso Marò, La Russa: «La nostra pazienza non è infinita»
«Codice d’onore. L’Italia, e l’Europa, per il rientro in patria dei nostri marò», era il tema del dibattito che si è svolto ieri ad Atreju 2012, e al quale hanno partecipato il ministro degli Esteri Giulio Terzi, il coordinatore del Pdl Ignazio La Russa, ministro della Difesa nel governo Berlusconi IV, il giornalista e inviato di guerra Fausto Biloslavo e il sottosegretario alla Difesa Gianluigi Magri. In prima fila erano presenti la sorella di Latorre, Franca, insieme con il nipote del fuciliere Christian D’Addario.
Il dibattito è stato aperto dal ministro Terzi, che ha difeso l’operato del governo, riconoscendo che i nostri marò sono «bloccati contro la volontà del governo italiano in un Paese straniero» e sostenendo di condividere tutte le iniziative svolte dal Pdl per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa «incredibile vicenda». Il titolare della Farnesina ha anche ammesso che è in gioco la dignità nazionale, dicendosi però fiducioso sulle assicurazioni che abbiamo avuto dalle organizzazioni internazionali e dai nostri alleati. Ha respinto l’idea di un’azione di forza, perché l’Italia, avendo pienamente ragione, vuole agire con la forza della ragione e del diritto, perché «l’Italia è un Paese di diritto», ricordando che «la “Enrica Lexie” che si trovava ben al di fuori della acque internazionali è stata costretta a rientrare nel porto indiano con l’inganno, dopodiché i nostri soldati sono stati circondati da trenta ufficiali di polizia indiani e portati via». «E poiché abbiamo ragione – ha proseguito Terzi – noi stiamo cercando di creare le condizioni affinché possano tornare a casa presto». Inoltre, ha aggiunto il ministro, «poiché la nostra era una legittima missione internazionale, è ora l’India che si gioca la sua credibilità sul piano internazionale». Anche per il sottosegretario alla Difesa Magri «la questione è tutta diplomatica. I nostro fucilieri di Marina hanno agito obbedendo a leggi dello Stato, quindi debbono essere giudicati in Italia». «Intanto il governo – ha aggiunto – ha provveduto a fornire legali, sistemazione e a mantenere loro lo status di militari impegnati in missione all’estero». Insomma, tutti d’accordo con le tesi del Pdl, una delle pochissime forze politiche che non dimentica questa vicenda, tuttavia la storia va avanti da sette mesi, e non da una settimana.
E proprio su questo argomento ha puntato Ignazio La Russa nella sua analisi, sottolineando «siamo l’unico ambiente politico che ha tenuto alta l’attenzione in tutti questi mesi su questa drammatica vicenda. Nel nostro piccolo – ha proseguito l’ex ministro della Difesa – abbiamo dato vita a numerose iniziative, compresa quella di voler mettere le foto dei nostri soldati ingiustamente detenuti nei comuni e nei luoghi istituzionali». «Mi rammarico soltanto – ha detto ancora La Russa – di non essere riuscito a convincere a fare altrettanto il sindaco comunista di Milano Pisapia né quello di Napoli, peraltro sempre pronti a mobilitarsi nei casi di turisti in cerca di avventura che si fanno sequestrare e che per i quali poi dobbiamo mettere in moto enormi risorse». Ma a parte questo, il coordinatore del Pdl ha detto di essere molto pessimista per la sentenza di fine mese da parte dell’Alta Corte indiana. «Noi trattiamo gli indiani in Italia come amici, ma mi sembra che loro non facciano altrettanto con noi….». E allora, dice La Russa, la pagina sta per essere voltata. «L’errore del governo italiano è stato quello di sottovalutare la gravità della cosa, non favorendo la mobilitazione dell’opinione pubblica, poiché come ha detto il ministro è una questione di dignità nazionale, e lasciando scorrere le cose pressoché sotto silenzio». E allora, ha aggiunto La Russa, «gli indiani tengano conto che la pazienza non è infinita, se la sentenza non sarà quella che ci attendiamo legittimamente, potremmo proporre di ritirarci dalle missioni anti-pirateria e addirittura abbandonare le missioni internazionali dove ci siano contingenti indiani». E ha fatto l’esempio dell’Afghanistan, vera spina nel fianco dell’India, per la contiguità col loro nemico storico, il Pakistan: «Ecco – ha detto La Russa – potremmo anche ritirarci prima dall’Afghanistan, così potrebbero andare i soldati indiani a vedersela coi talebani…». Concludendo, La Russa ha sottolineato che il cambio di passo da parte del governo nella gestione della crisi non c’è stata, e che «se la sentenza di Nuova Delhi non sarà favorevole, occorrerà cambiare strategia, fare quel “salto” da noi sempre auspicato ed evocato». E ha proposto ai giovani di fare un sit in presso l’ambasciata indiana il giorno della sentenza.
Da parte sua il giornalista Fausto Biloslavo, coraggioso inviato di guerra da trent’anni, ha ricordato l’episodio-fotocopia accaduto a una nave americana qualche settimana fa a Dubai, quando i marines hanno sparato, uccidendolo, a un pescatore indiano, ferendone altri tre, perché si sentivano minacciati da questo barchino – che avrebbe potuto essere carico di esplosivo – che ignorando tutti gli avvertimenti e le segnalazioni – continuava ad avvicinarsi alla nave americana. Bene, ha detto Biloslavo, gli Stati Uniti non si sono neanche sognati di consegnarsi agli indiani, come era stato richiesto. «Questo per dire gli Usa non lasciano mai uno dei loro indietro, talvolta anche sbagliando», come, ricordiamo, il caso del Cermis o quello del sergente che sparò a soldati afghani in un raptus di follia. Biloslavo, a proposito dei due pesi e due misure, ha anche rivelato che la marina indiana pattuglia le proprie acque in funzione anti-pirateria, e nell’esordio di questa missione ha affondato una barca di pirati e ne ha uccisi diversi. Per quanto riguarda le proposte di La Russa, Biloslavo si è detto completamente d’accordo sulle “ritorsioni” sul piano delle missioni internazionali.