Cercasi bozza. Come lo yeti: tutti ne parlano ma nessuno l’ha vista
Come lo yeti, tutti ne parlano ma nessuno l’ha mai visto. Creatura leggendaria, la bozza d’intesa sulla riforma che dovrebbe mandare in soffitta il porcellum aleggia nell’aria, rimbalza di agenzia in agenzia, fa da sfondo a tutti gli scenari sui futuri assetti politici. Ma forse non esiste. Gli analisti più accorti e maliziosi giurano che l’intesa non c’è e che l’ottimismo degli sherpa e le dichiarazioni sugli stati di avanzamento dell’impresa siano solo chiacchiere da politici per prendere tempo. Magari per ammansire il Colle, che in queste ore ha altro a cui pensare, e alzare il prezzo in vista del dopo Monti. La partita delle regole elettorali si incrocia con quella dei tempi della legislatura. A chi conviene andare al voto in autunno prima della scadenza elettorale? E con quale sistema? Da settimane i principali giornali, consumata la luna di miele con il governo, giocano in prima persona entrando in campo a gamba tesa.
Da giorni Repubblica ha ricominciato con il killeraggio (preventivo) contro Berlusconi attribuendogli il piano segreto del voto anticipato per evitare la cattiva pubblicità dei processi a suo carico che entrerebbero nel vivo nei prossimi mesi. Fa il duro “lavoro” il quotidiano di Mauro, che (nessuno lo scrive) sta perdendo parte dei suoi lettori a vantaggio del Fatto di Travaglio per la sua crociata poco gradita a favore di Napolitano. Il Corriere lavora per sabotare elegantemente e “sobriamente” la riforma elettorale che rischierebbe di far tornare indietro il paese ai tempi bui della Prima repubblica. Ma il condizionale è d’obbligo perché non si conoscono i punti dell’intesa tra ABC. Il Messaggero, sempre più casiniano, continua a tessere le lodi dell’Udc che spiccherebbe per senso di responsabilità. «La legge elettorale va fatta subito ma ci sono troppi che stanno cincischiando», ha detto ieri Casini da Bologna, «al mattino dicono una cosa e la sera cercano di disfarla o di agire per il contrario. Credo ci voglia più serietà per restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri parlamentari».
Il Pdl mantiene ferma la barra del timone: sì alla riforma all’insegna di una maggiore partecipazione popolare (no ai deputati nominati) facendo salvo il bipolarismo senza che diventi una camicia di forza, sì alle preferenze, magari combinate con i collegi.
«L’unico modo per far scegliere veramente agli elettori i deputati e i senatori è il sistema delle preferenze, così come avviene nei Comuni e nelle Regioni», ha ripetuto ieri Ignazio La Russa, «ogni altro sistema è un trucco per lasciare che le decisioni siano solo nelle mani delle segreterie dei partiti». L’ex ministro respinge al mittente le obiezioni del Pd sulle preferenze e si dice rammaricato per «l’ostruzionismo che la sinistra ha fatto e che continua a fare alla possibilità di approvare la riforma Costituzionale che, oltre ad abbassare il numero dei parlamentari consentirebbe di eleggere direttamente da parte dei cittadini il presidente della Repubblica». Il Pd diversifica il suo messaggio, diviso come è tra falchi e colombe su ogni argomento. Vannino Chiti, che è persona seria e informata dei fatti, riassume così lo stato dell’arte: «Ci sono le condizioni per realizzare una legge elettorale che rappresenti un passo avanti significativo rispetto al porcellum. Punti fermi sono lo sbarramento nazionale al 5% o 8% in 3-4 regioni; collegi e piccole liste di non più di 5 candidati; premio attorno al 15% al partito che arriva primo. Rispetto al porcellum non vi saranno più sbarramenti diversificati a seconda che si sia o no in una coalizione, con le conseguenze che abbiamo visto sulla governabilità; liste bloccate di oltre 30 candidati; possibilità di candidarsi ovunque; premio di maggioranza indefinito». Secondo Chiti ci sarebbe ancora il tempo, «se c’è la volontà politica, per attuare l’articolo 49 della Costituzione e per ridurre il numero dei parlamentari». Per Arturo Parisi, suo collega di partito, invece, «continua oltre la decenza il teatrino della legge elettorale solo con l’obiettivo di mettere gli oppositori di fronte al fatto compiuto quando non ci sarà più nulla da fare, se non prendere o lasciare».