Napolitano contro i giudici di Palermo

16 Lug 2012 20:35 - di

È una guerra fredda combattuta a colpi di comunicati, decreti, rettifiche e specifiche, quella scoppiata ieri tra il Quirinale e la procura di Palermo, e culminata in un decreto firmato dal Presidente della Repubblica, con cui Napolitano ha affidato all’Avvocatura dello Stato l’incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. L’accusa che Napolitano rivolge alla Procura è di aver preso decisioni “lesive” delle prerogative che la Costituzione attrbuisce al presidente della Repubblica: in primis quella di non essere sottoposto a indagini e intercettato. 
Napolitano ha deciso di andare allo scontro aperto dopo giorni di polemiche covate sotto la cenere e anticipate ore prima da una querelle cominciata con un articolo di Eugenio Scalfari su Repubblica, in cui il fondatore del quotidiano “ricordava” le prerogative all’attivo del Capo dello Stato, per criticare la gestione del contenuto di conversazioni telefoniche tra l’ex ministro Nicola Mancino – indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia negli anni ’90, e sottoposto a intercettazioni – e il presidente della Repubblica. O meglio: durante l’attività d’intercettazione ci sarebbero state anche un paio di telefonate tra Mancino e Napolitano, telefonate che avrebbero dovuto essere distrutte, provvedimento però che il procuratore del capoluogo siciliano Francesco Messineo non ha disposto, giustificando la scelta con il fatto che «nell’ordinamento attuale nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l’immediata cessazione dell’ascolto e della registrazione quando, nel corso di un’intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto a intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione. Senza alcun intento polemico ma solo per doverosa precisazione – aggiunge quindi il procuratore – si chiarisce inoltre che in tali casi, alla successiva distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata, si procede esclusivamente, previa valutazione dell’irrilevanza della conversazione stessa ai fini del procedimento, e con l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti». Fine del primo atto.
Nella tarda mattinata di ieri, però, il fuoco della diatriba a distanza ha ripreso a divampare, fino a contrapporre apertamente gli schieramenti in campo, tanto da far intervenire direttamente il presidente Napolitano, risoluto a contrastare l’operato della Procura della Repubblica di Palermo in merito – recita la nota diffusa dal Colle – alle «decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione».
A giudicare sul superamento di un confine istituzionale sarà la Corte costituzionale; nel frattempo, in risposta all’offensiva del Colle, la Procura di Palermo ha convocato nel primo pomeriggio di ieri la stampa, previo un vertice presieduto dal procuratore Messineo con i magistrati che si occupano dell’inchiesta sulla cosiddetta “trattativa” tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del ’92: il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i pm Lia Sava, Paolo Guido, Antonino Di Matteo e Francesco Del Bene. Un incontro nel quale la Procura ha difeso la legittimità del proprio “modus operandi”. «Siamo sereni – ha detto Messineo – non sono state violate le prerogative costituzonali del capo dello Stato». Aggiungendo poi tiepidamente: «Ci troviamo in presenza di un’intercettazione occasionale e di un fatto imprevedibile e inaspettato che sfugge alla normativa in esame, che riguarda la ovvia esenzione del presidente della Repubblica da qualsiasi intercettazione: mai la Procura avrebbe attivato una procedura diretta a violare queste prerogative». A fargli eco, le parole del procuratore aggiunto Antonio Ingroia: «Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità».

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