Lo spread ci riporta a quel 16 novembre…
Eravamo – dicevano – a poco più di un metro dal paradiso grazie ai presunti miracoli di Monti e ci troviamo invece con un piede nell’inferno. E non c’è neppure il capro espiatorio, un Cavaliere su cui gettare le colpe così da lavarsi la coscienza. La situazione precipita: i Btp decennali tornano a pagare un rendimento del 6,5%. Da quando c’è il governo tecnico è la prima volta che succede. Lo spread a quota 537, ai livelli del 16 novembre 2011, ossia ai tempi del passaggio di consegne tra Berlusconi e Monti. La Borsa scivola giù un giorno dopo l’altro (ieri Milano ha perso un altro 2,7%) e l’agenzia Bloomberg ha reso noto che i titoli con scadenza residua pari a nove anni pagano una cedola superiore a quelli irlandesi. In termini di immagine, ma anche di sostanza, è una catastrofe che però smaschera (se ancora ce ne fosse bisogno) l’ipocrisia politica di chi ha usato la crisi internazionale come arma contundente contro il governo Berlusconi. E di chi, in Italia, godeva dei sorrisetti della Merkel e di Sarkozy. Qualcuno dovrebbe chiedere scusa.
Giallo sullo scudo antispread
Una situazione in rapido deterioramento che ha portato il segretario di Stato spagnolo per la Ue, Inigo Méndez de Vigo, a rendere pubblica una presunta nota comune (Madrid-Roma-Parigi) in cui si chiede un’immediata applicazione degli accordi antispread raggiunti nel Consiglio Ue del 28 e 29 giugno. Italia e Francia, però, lo smentiscono quasi subito. «L’appello congiunto – fa sapere il governo francese – è una pura invenzione, non esiste». Il ministro per gli Affari europei Bernard Cazeneuve sente in proposito il suo omolo italiano, Enzo Moavero, e fa sapere che entrambi «sono rimasti a bocca aperta». Un nuovo giallo, mentre i problemi sul tappeto continuano a non essere risolti con costi altissimi. «Ogni giorno – afferma Luigi Angeletti – mille persone perdono il loro posto di lavoro» per effetto della recessione.
Schiaffo alla Merkel
A Berlino, intanto, dopo il declassamento a opera di Moody’s, si fa buon viso a cattivo gioco. Il taglio al rating di Germania, Olanda e Lussemburgo di fatto non ha al momento ricadute pratiche, ma è il segnale che anche le economie dei Paesi facenti parte del nocciolo duro dell’euro sono adesso messe in discussione. Lo strepitare della stampa tedesca, la Merkel che non commenta, la rivendicazione che l’economia reale della Germania è a posto fanno capire che adesso che è toccata a loro i tedeschi adottano un comportamento diverso rispetto a quando le “tre sorelle “ (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch) attaccavano la Grecia, la Spagna e l’Italia). Con Berlusconi al governo erano l’oracolo a cui fare riferimento, adesso, invece non sono più credibili. La Merkel, soprattutto, non vuole mostrare debolezze e paure. Il declassamento è mortificante, forse più della sconfitta agli europei di calcio. ma polemizzare con i soloni del rating internazionale rischia di essere peggiore del male. Per questo la lady di ferro finge di non curarsene e fa sapere che resta a godersi le vacanze alla faccia di tutti. Eppure Borse e spread agitano le notti dei capi di Stato e di governo della Ue come i fantasmi rendevano insonni quelle dei nobili che abitavano i castelli medievali.
La Ue non drammatizza
La parola d’ordine che ieri girava a livello europeo e a Berlino era di non drammatizzare il giudizio di Moody’s. «Ribadiamo – ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker – il nostro forte impegno per assicurare la stabilità dell’area euro nel suo insieme». E la nota dell’agenzia? «Ne prendiamo atto – ha affermato – è confermato, comunque, il rating molto forte per alcuni Paesi membri dell’Eurozona, sostenuti da fondamentali solidi che questi e altri Paesi dell’area euro continuano ad avere. In questo contesto, ribadiamo il nostro forte impegno per assicurare la stabilità dell’Eurozona nel suo insieme». I fatti, però, smentiscono le dichiarazioni. A livello concreto, sui mercati dove si fanno le speculazioni a carico dello spread, non ci sono interventi. E la decisione della Corte costituzionale tedesca di rimandare il pronunciamento sul fiscal compact al 12 settembre di fatto ci costringe a un’estate di fuoco.
Stampa tedesca in trincea
I giornali tedeschi, comunque, non credono che il declassamento possa creare problemi alla Germania. Anzi si irrigidiscono nei loro giudizi. Die Welt on line non ha dubbi: «Moody’s vuole spingere la Germania nell’unione del debito. Ma succederà il contrario», scrive. Secondo il giornale «il declassamento rafforzerà la legittima paura dei contribuenti tedeschi. Alla fine l’opposizione a ulteriori misure nella direzione di un’unione del debito sarà solo maggiore». E la Frankfurter Algemeine Zeitung arriva alle estreme conseguenze spiegando che le valutazioni di Moody’s fanno capire alla Germania che «se tenta di salvare gli altri fa il passo più lungo della gamba». Per la Faz, invece, «l’uscita dall’euro della Grecia è il male minore». Il giornale spiega che se nessun Paese esce dalla moneta unica il pericolo è anche maggiore, perché in questo modo gli Stati «finanziariamente più deboli restano attaccati alla flebo dipendendo da quelli più forti che oggi Moody’s mette sotto giudizio».