Gli italiani sempre più con le tasche vuote
È un’Italia che boccheggia (e non solo per il caldo): oltre otto milioni di italiani sono scivolati nella povertà e non riescono ad arrivare neanche a metà mese. Con i redditi drammaticamente diminuiti e con una capacità di spesa erosa sia dal forte inasprimento fiscale che da fenomeni inflattivi, la famiglia media italiana risulta sempre più povera. Peggiora la situazione soprattutto per le famiglie operaie e con bassi profili professionali. Una famiglia composta da due persone è considerata relativamente povera se ha una spesa inferiore o pari a 1.011,03 euro. A fotografare le tasche sempre più vuote degli italiani è il report sulla povertà in Italia, presentato ieri dall’Istat. Tra le famiglie povere nel 2011, l’11,1% è risultato «relativamente povero», il 6% «appena povero» cioè poco distante dalla linea standard, oltre la quale si diventa poveri; il 5,2% è «sicuramente povero» in termini assoluti (tre milioni 415mila). Non solo il 7,6% delle famiglie italiane è a rischio povertà: si trova poco al di sopra della linea convenzionale di povertà e, ad esempio con una spesa improvvisa, potrebbe classificarsi tra le famiglie povere. Di conseguenza in Italia è povera o quasi povera circa una famiglia su cinque. Peggiora la situazione al Sud, dove è povera quasi una famiglia su quattro.
I dati fotografati dall’Istat sono chiari: la povertà, sia assoluta sia relativa, è stabile ma deriva da un peggioramento della povertà relativa per le famiglie in cui non ci sono redditi da lavoro e in cui vi sono operai. In particolare, l’incidenza della povertà relativa aumenta dal 40,2 al 50,7% per le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro e dall’8,3% al 9,6% per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro, per lo più anziani soli o in coppia. La povertà assoluta cresce (dall’8,5% al 16,5%) tra le famiglie in cui non ci sono redditi da lavoro e almeno un componente è alla ricerca di occupazione e tra le famiglie con a capo una persona con profili professionali e titoli di studio bassi. Peggiora anche la condizione delle famiglie con figli minori, in particolare per quelle con un solo figlio, la cui povertà relativa passa dall’11,6 al 13,5% e quella assoluta dal 3,9% al 5,7%. Sono un milione 863mila le famiglie del Mezzogiorno che vivono in condizioni di povertà relativa, pari al 23,3% di tutti i nuclei residenti al Sud: una condizione diffusa soprattutto tra le famiglie più grandi, con tre o più figli piccoli.
Sicilia e Calabria sono le regioni più povere. «Sono purtroppo dati che non sorprendono – osserva il parlamentare del Pdl Basilio Catanoso – la differenza, tra le varie zone del Paese, è così evidente che in una situazione di difficoltà generale le regioni più povere sono quelle che pagano il prezzo più alto. Questa grande crisi internazionale ha, infatti, ricadute più pesanti in quelle aree del Paese che non sono all’altezza produttiva del resto d’Italia. È il solito vecchio problema. Il governo Berlusconi – continua – aveva provato ad attivare un meccanismo di innovazione, di rilancio progettuale e realizzativo di infrastrutture che potessero ridurre le differenze, ma non gli hanno permesso di portarlo a termine. In futuro bisognerà lavorare su questa priorità per far sì che la Sicilia e la Calabria e altre regioni meridionali possano avere le stesse possibilità del resto d’Italia e d’Europa. Il governo Monti ha il dovere di pensare ad alleviare le sofferenze di milioni di italiani che vivono la crisi sulla loro pelle». Dati allarmanti che per Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, sono destinati «ad aumentare grazie a miopi quanti inutili politiche di rigore e di tagli paurosamente orizzontali senza una minima compensazione in termini di crescita e sviluppo».
Contemporaneamente, aggiunge Centrella, «occorre porre fine a una politica di rigore asfissiante con l’obiettivo di incentivare, oltre ai consumi, anche le produzioni. Solo in questo modo, e non con la riforma Fornero, si può verosimilmente sperare di combattere la disoccupazione e rimettere a posto i conti pubblici».