Alle olimpiadi del peso fiscale l’Italia si becca la medaglia d’oro
La pressione fiscale che attanaglia gli italiani è la più alta del mondo e nel 2012 si è attestata al 55% del Pil. Se infatti dal Pil italiano si sottraesse la quota su cui non vengono pagate imposte, che include l’imponibile sommerso, la pressione fiscale per in contribuenti in regola salirebbe al 55%: un valore che «non solo è il più elevato nella nostra storia economica recente ma costituisce un record mondiale assoluto». Lo rivela la Confcommercio nella “Nota sulle determinanti dell’economia sommersa” precisando che la pressione fiscale apparente è al 45,2%. E una conferma arriva anche dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera nei scorsi mesi al centro di polemiche per il ruolo vessatorio di Equitalia. Come sottolinea il presidente Carlo Sangalli questo è «un livello che zavorra drasticamente investimenti e consumi». Il valore della pressione fiscale effettiva, precisa Confcommercio, «non solo è il più elevato della nostra storia economica recente, ma costituisce un record mondiale assoluto». L’Italia si posiziona, infatti, al top della classifica davanti a Danimarca (48,6%), Francia (48,2%) e Svezia (48%). Fanalino di coda Australia (26,2%) e Messico (20,6%). «Sotto il profilo aritmetico – si legge nel rapporto – il record mondiale dell’Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall’elevato livello di sommerso economico che dall’elevato livello delle aliquote legali». L’Italia si classifica ai vertici della classifica internazionale anche per la pressione fiscale apparente, quella data dal rapporto tra gettito e Pil: con il suo 45,2% il nostro Paese è al quinto posto su 35 paesi considerati, dietro a Danimarca (47,4%), Francia (46,3%), Svezia e Belgio (entrambi 45,8%).
Il sommerso economico in Italia è pari al 17,5% del Pil e l’imposta evasa ammonterebbe a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso): il dato, che si riferisce al 2008 ma si può ipotizzare costante fino ad oggi, posiziona l’Italia al primo posto nel mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) ma è una tendenza moderatamente alla riduzione. Secondo l’indagine di Confcommercio «ci sono quattro grandi fattori che possono essere rapportati a questo 55%», afferma il direttore dell’Ufficio studi Confcommercio Mariano Bella. La prima determinante «è una pretesa fiscale troppo alta determinata da un sistema di spend and tax» ovvero un sistema economico che prima decide la spesa e poi fissa le tasse. Il secondo fattore, che determinerebbe l’aumento del tasso di evasione, «è il valore della sanzione rapportato alla scarsa efficienza generale del sistema giudiziario, quindi la bassa probabilità di essere »pizzicati« ad evadere». La terza determinante è «il rapporto diretto tra senso civico e la percezione di un output pubblico: nel momento in cui i servizi pubblici sono considerati non soddisfacenti rispetto alla richiesta fiscale si tenderebbe ad evadere». Alla presentazione dello studio Befera ha corroborato i dati forniti: «Ci sono tantissimi che evadono – ha spiegato – ma ci sono anche tantissimi che non evadono, una maggioranza silenziosa che sopporta una pressione del 55%, in qualche caso anche superiore, alcuni imprenditori mi dicono al 70%, e la sopporta facendo sacrifici per il senso di dovere». Befera è tornato ad auspicare un cambiamento della cultura civica rispetto al fenomeno evasione. E ha annunciato, alla platea di Confcommercio, una mappatura degli adempimenti fiscali entro il 30 settembre con l’obiettivo di ridurli. Quanto ai blitz antievasione «siamo stati accusati di una spettacolarizzazione eccessiva dei nostri interventi ma la presenza sul territorio serve per l’accertamento effettivo e nel mettere quel “sano timore” per il quale il contribuente è spinto a dichiarare. Non pensiamo – continua Befera – di recuperare 120 miliardi di evasione facendo controlli uno a uno ma l’azione di contrasto è basata sulla deterrenza, il cui effetto sta cominciando a funzionare».