A sinistra torna l’ossessione del Cav (causa spread)
Come pugili suonati tutti gli Stati europei, uno dopo l’altro, si stanno ritrovando al tappeto con gli occhi gonfi, colpiti dalla crisi che sembra Tyson e mena colpi, sotto a chi tocca. Solo il Pd – forse perché è più “suonato” degli altri – continua a ripetere che la colpa è tutta del governo Berlusconi, o quasi. Perché (dicono gli alti dirigenti “democratici”, da Fassina in giù) l’austerità voluta dalla coppia Merkel-Sarkozy è autodistruttiva, il Cav era amico loro, stanno tutti nel Ppe, ergo: se ci troviamo con l’acqua alla gola la responsabilità è di Berlusconi. Un tentativo patetico, quello dei Bersani-boys. Perché – alla luce di quel che è successo negli ultimi mesi – non c’è una sola persona che veda la Cancelliera tedesca “amica” del Cav. Peggio ancora, l’ex presidente francese, di cui tutti ricordano i sorrisetti ironici sull’Italia guidata dal centrodestra (sorrisetti che non gli hanno portato molta fortuna). Quello del Pd, quindi, è solo il tentativo di frenare l’emorragia di voti che sta provocando l’appoggio al governo Monti. Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ricorda ai “democratici” che, quando si trattava di creare problemi a Berlusconi, quegli stessi Merkel e Sarkozy hanno avuto il sostegno entusiasta del Pd, mentre il centrodestra italiano, come ricordato da Maurizio Gasparri, «è stato il primo a ravvisare la negatività delle impostazioni che soprattutto la Germania e la Merkel hanno voluto adottare». Quindi, Bersani & C. la smettano di giocare alle tre carte.
Le distanze dalla Merkel
Le chiacchiere stanno a zero. Berlusconi è stato costretto a lasciare Palazzo Chigi proprio perché non era disposto a governare sotto dettatura di Merkel e di Sarkozy, mentre il Pd, al tempo della lettera della Bce all’Italia, (5 agosto 2011) non solo ne sposò subito i contenuti, ma arrivò anche a sostenere che il centrodestra doveva lasciare il governo perché non era in grado di attuare quella politica. I responsabili dell’austerità hanno un nome e un cognome, anche se tutti, adesso, fanno finta di dimenticarsene. «Con le ricette della Germania – ha detto Gasparri – stiamo andando verso il disastro. Cambiare strada è un abbligo per rilanciare l’economia anche nel nostro Paese: del resto le voci che denunciano il fallimento della politica europea si stanno moltiplicando. Quindi – ha concluso – prima di ratificare qualsiasi intesa nei parlamenti nazionali, compreso il fiscal compact, abbiamo bisogno di capire se l’Europa intende cambiare la propria politica economica varando un piano immediato per lo sviluppo».
Il piano per l’euro
Arrivano autorevoli smentite, intanto, alla notizia, riportata domenica dal settimanale tedesco Welt am Sonntag, che Ue e Bce stanno preparando un “superpiano” per l’euro che dovrebbe essere presentato entro fine giugno. La portavoce della Commissione europea Pia Ahrenkilde ha detto di voler sgombrare il campo dalla «confusione» confermando, nel contempo, il lavoro in atto per «rafforzare l’Unione economica e monetaria». Una strategia che, secondo il presidente permanente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, potrebbe essere pronta già a fine anno, con l’obiettivo di «avere più Europa e non meno Europa». Su alcuni temi, in particolare, primo fra tutti quello dell’unione bancaria, si aspetta di capire quali proposte avanzeranno Draghi, Barroso e Van Rompuy, mentre sugli eurobond la Germania resta scettica. Secondo Welt am Sonntag esiste, in ogni caso, «l’unanimità sulla necessità di passi ulteriori verso l’integrazione». L’euro, intanto, resta debole nei confronti del dollaro e i timori per l’andamento dell’economia frenano le quotazioni del petrolio. Senza contare le Borse europee che, nel mese di maggio, hanno bruciato qualche cosa come 4mila miliardi di capitalizzazione, mentre lo spread continua a non allentare la morsa. Spaventa la Grecia e il possibile risultato delle elezioni di metà mese, ma spaventa soprattutto la Spagna, mentre in Usa la ripresa da segni di stanchezza e allarma gli operatori, dopo che la creazione di posti di lavoro settimanale è risultata inferiore alle attese.
La soluzione è diventata il problema
Per l’Italia la situazione continua ad essere allarmante. Lo spread è tornato intorno ai 456 punti base. Il governo tecnico di Monti, che «doveva essere la soluzione», si è rivelato «il problema», ha detto l’ex mnistro Renato Brunetta: «Probabilmente ci stiamo preparando a una nuova tempesta che potrebbe verificarsi nella terza settimana di giugno, in concomitanza con le elezioni in Grecia. Il giorno delle dimissioni di Berlusconi, 11 novembre 2011, lo spread registrava 456 punti base, molto simile alla media dell’ultima settimana (455)». Dopo quasi sette mesi di governo Monti e con sulle spalle oltre 100 miliardi di euro di manovre economiche in più siamo al punto di partenza. Eppure oggi nessuno protesta. Buio fitto, in sostanza, mentre il governo sta lavorando al decreto “crescita e infrastrutture”, che dovrebbe vedere la luce domani o la massimo venerdì e prevedere incentivi per le piccole e medie imprese con un fondo di 600 milioni, lo sblocco di centrali e rigassificatori (con l’obiettivo è mettere in moto 10 miliardi di euro, totalmente di capitale privato), la possibilità per le aziende di emettere minibond. Una sorta di obbligazioni o cambiali che le imprese non quotate, medie e piccole, potrebbero emettere per finanziarsi avendo alcuni requisiti e potendo usufruire del traino di uno sponsor, la certificazione dell’ultimo bilancio e la circolazione dei titoli tra investitori qualificati. Il pacchetto, già annunciato dal ministro Passera, si aggiungerebbe a quello curato dal viceministro Ciaccia che prevede la neutralizzazione dell’Iva sull’invenduto, l’aumento della detrazione sulle ristrutturazioni dal 36 al 50%, il riordino del bonus del 55% per l’efficienza energetica.