Spread su. Come prima, più di prima

14 Mag 2012 20:57 - di

Sarà il tempo incerto, il cambio di stagione, le temperature altalenanti, ma la febbre dello spread sta di nuovo salendo. Ieri il differenziale ha veleggiato tra 430 e 450 punti, a seconda delle piattaforme di riferimento: per Reuters il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi equivalenti è arrivato a toccare i 450 punti, per Bloomberg, invece, lo spread è a 435 punti (come noto, dal 7 maggio Reuters ha aggiornato il sistema di calcolo prendendo come titoli di riferimento per l’Italia il Btp con scadenza settembre anziché marzo 2022: da qui la diversità dei numeri, giusto per complicarci ancora un po’ di più la vita…). Lo spread calcolato sui Bonos spagnoli si attesta invece a 484 punti con un tasso al 6,28%. La congiuntura internazionale, tra il cambio di governo a Parigi, la crisi greca e le batoste elettorali della Merkel, evidentemente si fa sentire. Eppure fino a pochi mesi fa il saliscendi del differenziale aveva un unico colpevole, per l’opinione pubblica: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è troppo inaffidabile, ci dicevano, e i mercati lo sanno. Vedete quel rialzo? Colpa del bunga bunga. Quell’altra impennata? È per via della barzelletta raccontata ieri. E così via. Oggi, invece, pochi pensano di imputare a Mario Monti le bizze dello spread. Tutto d’un tratto, i meccanismi economici tornano a essere freddi, impersonali, attenti solo alle macro-questioni e non alle quisquilie di casa nostra. Eppure dare un’occhiata ai numeri potrebbe suggerire risultati interessanti. Renato Brunetta lo ha fatto, lanciando sul suo sito il “tormentone spread”, riutilizzando quindi lo stesso mantra ossessivo contro coloro che hanno beneficiato della campagna anti-Cav condotta proprio a colpi di differenziale. Ebbene, spiega l’ex ministro, «la media dello spread nei primi 177 giorni di Monti al governo (aggiornata al dato di venerdì, 11 maggio 2012) è più alta di 104 punti rispetto alla media degli ultimi 177 giorni del governo Berlusconi. Confrontando le ultime 5 aste del governo Berlusconi (luglio, agosto, settembre, ottobre e novembre 2011) con le prime 5 aste di Btp a 10 anni del governo Monti (dicembre 2011, gennaio, febbraio, marzo e aprile 2012) emerge un rendimento medio ponderato delle prime pari al 5,53% contro un rendimento ponderato delle seconde pari al 6,30%». Insomma, bisogna decidersi: o lo spread dipende dal governo in carica e dalle capacità dell’inquilino di Palazzo Chigi – e allora, dati alla mano, Berlusconi ha fatto male, ma Monti ha fatto peggio – oppure è tutto molto più complicato e la politica ha un ruolo relativo – ma allora questo ragionamento deve essere valido sempre, non solo quando ci fa comodo. Brunetta ha commentato anche l’asta Btp, notando come siano «stati appena collocati 3,5 miliardi di Btp a 3 anni, rendimento lordo 3,91%. Livelli ancora una volta febbrili e, purtroppo, in risalita, se si considera che la stessa tipologia di titoli veniva assegnata in asta con un rendimento lordo del 2,76% a marzo e del 3,89% ad aprile. Il governo Monti ha fallito? No. Come non era il governo Berlusconi la causa del cattivo andamento dei rendimenti dei titoli di Stato nella seconda metà del 2011. Chi ha fallito è l’Europa: per la mancanza di una governance comune e forte, per la timidezza nel prendere decisioni, per il ruolo statutario inadeguato della Banca Centrale Europea». Insomma, sbagliava chi, di fronte alle turbolenze dei mercati, ieri accusava la politica che, di fatto, di certe dinamiche è solo vittima. Tant’è che in Europa sta crescendo «l’insofferenza nei confronti della dittatura dello spread, vista come ostacolo alle aspirazioni dei popoli. I cittadini non accettano di pagare per scelte su cui non sono chiamati a decidere». Belle parole, ma chi le ha pronunciate? Qualche indignado esagitato? Il vulcanico Beppe Grillo? Un movimento d’estrema destra arrabbiato con l’alta finanza? Macché, lo ha detto addirittura il presidente della Consob, Giuseppe Vegas presentando ieri a Piazza Affari la Relazione della Commissione. Lo spread, ha aggiunto lo stesso Vegas, dipende in sostanza dalle scelte di un soggetto invisibile, il mercato, che «attribuisce ogni potere decisionale a chi detiene il potere economico, nei fatti vanificando il principio del suffragio universale». Per il presidente della Consob «la dittatura dello spread» è un ostacolo alle aspirazioni dei popoli al punto che «affidare il nostro futuro a un numero costituisce anche un modo di abdicare ai nostri doveri. Le nostre paure sono sintetizzate in un numero che oggi è rappresentato dallo spread e che si basa su fondamentali dell’economia. Tuttavia incorpora un giudizio di valore sintetico e soggettivo che, spesso, li travalica». Hai capito. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Anche se l’appello al suffragio universale e al volere dei popoli suona oggi terribilmente naif, quasi ingenuo. L’Italia, infatti, non ha bisogno di seguire il differenziale per vedere la propria democrazia andare in frantumi. Con il governo Monti, infatti, ci siamo già portati avanti con il lavoro da soli.

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