Lo spread è alto? Non è colpa mia. Sorpresa: lo dice Monti, non il Cav
La Merkel ha sbagliato. Lo spread fa paura, ma la causa va cercata (e trovata) fuori dall’Italia. Il governo non è assolutamente responsabile. La crisi è di tutta l’Europa e si ripercuote su di noi. C’è una debolezza complessiva del sistema. Non siamo tornati indietro nel tempo, non è Berlusconi a parlare. A dire queste cose, una dopo l’altra, è Mario Monti. Sì, proprio lui, il premier dei miracoli, il professore che avrebbe dovuto tirarci fuori dai guai dopo le “malefatte” del Cavaliere. Stesse tesi, stesso linguaggio, stesso tono. Con una differenza: contro di lui non c’è il plotone mediatico d’esecuzione, non ci sono le truppe cammellate della sinistra pronte a impallinarlo. Perché è la verità. O meglio, è l’identica verità che c’era anche ai tempi del governo di centrodestra e che – per tornaconto politico-elettorale – veniva nascosta, travisata, travolta. Siamo chiari: Monti non è responsabile dell’avanzata pericolosa dello spread così come non lo era Berlusconi prima delle sue dimissioni. Qualcuno dovrebbe cominciare ad ammetterlo.
Le parole del premier
«L’Italia non è fuori dall’area del contagio» nonostante le stangate. Perché l’attuale stato di cose è dovuto alla «debolezza complessiva del sistema», più che all’Italia e ai suoi governi. I discorso è semplice: la crisi attuale ha poco a che vedere con i problemi del 2008, quando a preoccupare erano le banche dei singoli Paesi, adesso sotto osservazione c’è il debito degli Stati. Il grande accusato è l’euro e di conseguenza l’Europa. Il premier, in queste settimane sotto accusa perché la sua politica del rigore sta creando grossi problemi di carattere sociale e alimenta la caduta produttiva, scarica la Merkel, suo (ex) sponsor, la invita a riflettere sul fatto che l’Europa ha bisogno di crescere e declina ogni responsabilità. Con gli indicatori che volgono al peggio, lui non c’entra nulla, è il Vecchio Continente a essere malato. Perché, se dal Consiglio Ue di fine giugno arriverà un pacchetto per lo sviluppo «credibile e sostenibile» anche i mercati si convinceranno che l’emergenza è superata.
Due pesi, una sola misura
Senza Bruxelles non si va da nessuna parte. La regola che oggi vale per Monti la scorsa estate valeva però anche per Berlusconi che, invece, è stato sacrificato sull’altare dello spread. Il Cavaliere venne accusato, tra l’altro, di essere il responsabile diretto di almeno 2 o 300 punti di spread. In sostanza, ieri il treno andava a rilento perché il macchinista non faceva il suo dovere, oggi non procede perché ci sono degli ostacoli sui binari che i tecnici non sono in grado di rimuovere. La bacchetta magica di Monti, isomma, non ha fatto il miracolo.
L’analisi di Bankitalia
Oggi le novità rispetto allo scorso anno sono costituite solo da una montagna di tasse in più. Il che non aiuta certo la crescita. Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, questo quadro l’ha ben presente. Nelle considerazioni finali all’assemblea dell’istituto, diciotto cartelle in tutto, ha preso atto «della gravità della situazione attuale» che può essere superata puntando sull’Europa e su «un’Unione politica». Per l’Italia non sono possibili illusioni. La ripresa non arriverà prima della fine dell’anno (meno 1,5 per cento il Pil nel 2012), «con probabilità tanto maggiori quanto più saranno efficaci gli interventi strutturali volti a migliorare l’utilizzo delle risorse». È necessario rimuovere macigni che impediscono all’economia di crescere. Primo tra tutti «la pressione fiscale», ormai «a livelli non compatibili con la crescita», perché sottrae risorse all’economia produttiva. Ma c’è anche la spesa pubblica e la necessità di una sua rimodulazione, con particolare attenzione alla ricerca e all’istruzione, la lotta all’evasione, il rafforzamento delle imprese e del sistema bancario. Risultati importanti sono stati conseguiti, con i «provvedimenti avviati durante la scorsa estate e poi completati e rafforzati dal nuovo governo», ma i sacrifici non possono essere permanenti: l’inasprimento della tassazione «non può che essere temporaneo».